sabato 26 gennaio 2008

WOZZECK

BERG Wozzeck J.Ph: Lafont, R. Decker, A. Kaimbacher, P. Lefebvre, F. Facini, N. Bykov, C.Ruta, F. Lepre, J. Baird, N. Petrisky, C. M. Zanetti.: Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma; Coro di Voci Bianche dell’Arcum, Direzione musicale, Gianluigi Gelmetti , Regia, Scene e Costumi: Giancarlo Del Monaco
Roma, Teatro dell’Opera 19 ottobre 2007

Al Teatro dell’Opera di Roma non si presentava il capolavoro di Berg da oltre 30 anni (ma una buona esecuzione scenica è stata realizzata al Parco della Musica dall’Accademia di Santa Cecilia esattamente quattro anni fa). E’ stata poco accorta la decisione di offrirne un nuovo allestimento – senza dubbio una delle proposte più interessanti della stagione 2007 della fondazione lirica romana – per cinque recite consecutive “fuori abbonamento”, per di più nei giorni in cui si inauguravano varie iniziative musicali (dal festival di Nuova Consonanza alla stagione 2007-2008 dell’Accademia Filarmonica e di quella di Santa Cecilia) e si teneva la Festa del Cinema. Alla prima , il 19 ottobre, gran parte dei palchi erano vuoti e c’erano spazi pure in platea, nonostante la decisione di abbassare drasticamente i prezzi dei biglietti. Gli applausi sono stati calorosi, ma da parte di pochi spettatori. Inadeguati rispetto agli sforzi ed a risultati dei generosi interpreti.

L’allestimento è uno dei migliori visti dell’opera di Berg in Italia negli ultimi anni. Gareggia efficacemente con quello di Jürgen Flimm che verrà riproposto alla Scala in febbraio-marzo 2008 e con quello di Claude d’Anna gustato al Massimo Bellini di Catania nel 1996. Giancarlo Del Monaco ha probabilmente lavorato con un budget limitatissimo: quindi, i 15 quadri della vicenda si svolgono in una scena unica – un grande bunker con pavimento simile a quello di una palestra e numerose botole; il coro (e le danze) , nel quadro dell’osteria (quarto del secondo atto), restano fuori scena; il lago viene lasciato alla nostra immaginazione. Allestimento “povero” ma non banale in quanto nel clima quasi claustrofobico si accentua la parabola di Wozzeck in quanto discesa all’inferno in 15 velocissimi quadri (ciascuno con una sua forma musicale puntuale): l’orgoglio del buon soldato viene umiliato dal Capitano (in una suite in 5 parti); vende (o più crudemente affitta) il proprio corpo perché sia oggetto di esperimenti da parte del Dottore (a tempo di passacaglia); la sua donna (Marie) si fà sedurre dal Tamburmaggiore (in un trascinante rondò); nel piccolo ambiente della caserma e dintorni lo sanno tutti, tranne il più diretto interessato che se ne accorge poco a poco (scherzo e trio); e così via sino all’assassinio di Marie da parte di Wozzeck (in si naturale) ed al suicidio (in cui ad un’invenzione su un accordo segue un’invenzione su una tonalità). La violenza della parabola viene, anche essa, accentuata dalla regia: ad esempio, le scene d’amore non sono erotiche ma violentemente (ed esplicitamente, per quanto consentito in un teatro d’opera) sessuali. Molto curata, in tutti gli aspetti, la recitazione. I 90 minuti vengono rappresentati senza interruzione al fine di non interrompere la tensione ma anzi farla crescere. La “povertà” dell’allestimento lo rende facilmente trasportabile su altri palcoscenici. Mi auguro che questo “Wozzeck” giri, e giri molto. In Italia ed all’estero.

Veniamo alla parte musicale. “Wozzeck” rappresenta per Gianluigi Gelmetti un’occasione importante: esce dal suo repertorio originale che spazia da Rossini al Novecento storico italiano per affrontare una partitura impervia (la prima a Berlino nel 1925 venne preceduta da 137 prove d’orchestra) con grande organico ed orchestra, oltre che in buca, in scena (al Costanzi era accomodata nelle due barcacce, con interessanti effetti stereofonici). I risultati sono stati complessivamente buoni, anche se Gelmetti è stato eccessivamente lirico nelle parti liriche (ad esempio il finale) ed un po’ pesante in altri momenti (ad esempio, la scena degli esperimenti sadici del Dottore – quarto quadro del primo atto). L’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma ha comunque dato una grande prova.

Jean-Philippe Lafont è vocalmente perfetto nei panni del protagonista: sa scivolare abilmente dal melologo, allo sprechensang, agli ariosi ed ai brevi ma intensi duetti con Marie. E’ anche efficace nella recitazione, ma corpulento e non più giovane è poco credibile nel ruolo del soldatino costretto a nutrirsi solo di legumi (per gli esperimenti del Dottore) e, nell’accezione di questo allestimento, di una capacità sessuale chiaramente inferiore a quella del suo rivale Tamburmaggiore. Richard Decker, che proprio a Roma aveva avuto una caduta di stile complessivo (dalla vocalità alla recitazione) in un recente “Tristano e Isotta”, è invece un ottimo Tamburmaggiore , a tutto tondo (dalla voce all’azione scenica). La Marie di Janice Baird non è la povera donna di campagna che, delusa dal soldatino, cade nelle braccia del Tamburmaggiore, ma una Brunilde (uno dei ruoli per cui il soprano drammatico di New York è più noto) assetata di sesso sin dalla prima apparizione in scena; impeccabile sia vocalmente sia scenicamente. La Margret di Natasha Petrinsky è, nella concezione generale dell’allestimento, quasi una prostituta, dal canto volutamente un po’ sguaiato.

Nelle parti minori, merita un economio Alexander Kaimbacher, che ha sostituito il collega inizialmente previsto. E’ un tenore leggero, ancora poco noto in Italia (ma ha impegni con il San Carlo tra breve) che impersona Anders con la scettica innocenza (uno dei paradossi di Berg) appropriata; tenerissimo il suo legato. Pierre Lefebvre e Francesco Facini sono l’arrogante Capitano ed il sadico Dottore; tenorino mellifluo il primo e basso di agilità il secondo – ambedue di buon livello. Bykov, Ruta e Lepre offrono buone caratterizzazioni degli altri. Struggente l’”Hop, hop” finale di Carlo Maria Zanetti.

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