Chiunque avrà responsabilità di Governo in Europa (e soprattutto in Italia) nei prossimi anni avrà come suo compito principale non tanto un ipotetico rilancio dello sviluppo (dopo quindici anni di crescita rasoterra) quanto quello del governo del declino. Il governo del declino è preliminare a qualsivoglia politica di crescita poiché soltanto governando i processi in atto (che comportano inevitabilmente un ridimensionamento del peso e del ruolo dell’Europa nell’economia internazionale) si possono individuare (e potenziale) le leve di uno sviluppo di lungo periodo.
Vastissima la letteratura sul declino (specialmente divulgativa) negli ultimi tempi. Chiarissima (e non di parte) l’analisi del Premio Nobel Roberto Fogel: il nucleo più avanzato dell’Ue – ossia l’Ue a 15, non a 27 – non riuscirebbe, dal 2000 al 2040, a stare al passo con la crescita dell’Asia- nel 2040 l’economia cinese raggiungerebbe i 123 milioni di miliardi di dollari (a tassi di cambio e potere d’acquisto costanti del 2000). Ciò avrebbe, secondo Fogel, implicazioni molto più vaste di quelle economiche, commerciali e finanziarie: la funzione di promuovere quei valori e quel sistema democratico nato alcuni secoli fa in Europa passerebbe ai Paesi liberali dell’Asia. L’economista finlandese Ilmo Pyyhthiä individua, in un lavoro econometrico recente, nell’usura o scarsità di capitale manageriale e nei ritardi nell’introduzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione le determinanti del declino dei Paesi europei che più ne sono affetti.
Queste conclusioni sono convalidate da analisi di giovani economisti italiani in uscita su “La Rivista di Politica Economica” ed oggetto di un convegno di studi all’Isae (Istituto di studi ed analisi economica) . Ad esempio, un lavoro di Andrea Brasili e Loredana Federico mette in evidenza come il capitale imprenditoriale di cui dispone l’Italia non può venire utilizzato a pieno a ragione dell’invadenza della mano pubblica; un’analisi di Caterina Riannetti e Marianna Madia mostra come anche dopo “la legge Biagi”, la regolamentazione del mercato del lavoro frena l’innovazione aziendale; uno studio di Marco Cucculelli quantizza gli effetti (non positivi) del capitalismo familiare sulle dimensioni delle imprese e, quindi, sulla loro capacità di effettuare ricerca (pure solamente “adattiva”- ossia adattare i risultati di ricerche altrui alle loro specificità) ed introdurre innovazione. Le citazioni potrebbero continuare.
La conclusione è che il nodo centrale della politica economica è differente da quello che è stato all’attenzione del dibattito negli tre lustri in cui, nei maggiori Paesi dell’Ue a 15, si è messo l’accento sulla ricerca di un equilibro tra risanamento della finanza pubblica e mantenimento di pace sociale in un contesto di crescita economica moderata. Il governo del declino comporta una politica economica che promuova (con la rimozione di vincoli istituzionali) i settori ed i comparti che in atto od in potenza hanno la maggiore competitività internazionale, pur rispettando i vincoli di finanza pubblica e minimizzando le tensioni sociali inevitabilmente connesse alla trasformazione del tessuto economico e sociale. E’ una politica economica che ha punti di contatto con quella degli Anni 80 i cui obiettivi erano il binomio della riduzione dell’inflazione e del mantenimento di tassi adeguati di crescita.
Non è la politica economica seguita dal Governo Prodi diretta essenzialmente alla difesa dell’esistente (come dimostrato dalla scarsa consistenza delle “lenzuolate” per le liberalizzazioni, dalle vicende Alitalia e dal non volere affrontare la completa privatizzazione di Enel, Eni, Poste e Rai). Non è stata che in parte la politica economica effettivamente condotta dal Governo Berlusconi, troppo timido nel rimuovere ostacoli quali quelli citati.
“Un manuale sulle riforme” è in corso di preparazione da parte dell’Istituto Bruno Leoni (IBL). Potrebbe dare l’avvio ad una riflessione sul governo del declino, pre-condizione a qualsiasi strategia di sviluppo, anche e soprattutto a livello di chi ha responsabilità politiche.
Riferimenti
Acquaviva G. (a cura di) La politica economica negli anni ottanta Marsilio Venezia 2005
Pyytiä I. “Why is Europe Lagging Behind?" Bank of Finland Research Discussion Paper No. 3/2007
Fogel R. "Capitalism and Democracy in 2040: Forecasts and Speculations"
NBER Working Paper No. W13184
Saggi in uscita su “La Rivista di Politica Economica”:
Brasili A., Federico L. “Recent Development in Productivity and the Role of Entrepreneruship in Ital: an Industry View”
Cucculelli M. “Owner Identity and Firm Performance in European Companies. Implications for Competitiveness”
Giannetti C., Madia M. “Is There a Relantionship between the degree of labour market regulation and firm innovatiness?”
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