Sono tre i comparti delle finanza internazionale che caratterizzeranno l’anno appena iniziato: i tassi di cambio, l’indebitamento dei Paesi neocomunitari dell’Europa centrale ed orientale e l’andamento delle valorizzazioni delle proprietà commerciali.
In primo luogo, il 2008 ha tutte le carte per essere l’anno della ripresa del valore internazionale del dollaro Usa (dopo un calo del cambio ponderato del 10% nel 2006 e dell’8,9% nel 2007). Un’inchiesta tra una cinquantina di analisti internazionali dei mercati dei cambi (condotta negli ultimi giorni del 2007) conclude che la ripresa del valore internazionale del dollaro Usa non sarà brusca: l’apprezzamento medio previsto è del 3% (per l’intero 2008). Le stime suggeriscono che a fine 2008 il cambio del dollaro Usa sarebbe attorno 1,30-1,35 euro. Rappresenta comunque un segnale significativo di mutamento di rotta. Quali le determinanti? Non la strategia del dollaro, dell’euro e dello yuan (che da mesi si sta faticosamente tentando di definire ed attuare) ma la riduzione del disavanzo commerciale Usa (178 miliardi di dollari nel terzo trimestre 2007, il livello più basso degli ultimi due anni) – effetto del deprezzamento in atto, in varia misura, dal 2005 – e l’intervento di fondi sovrani di Stati a forte liquidità dell’Asia e del Medio Oriente a supporto del “greenback” non per altruismo ma in quanto un ulteriore deprezzamento della valuta americana morderebbe troppo sulle loro riserve (in gran misura in dollari Usa) e sulle quotazioni dei prezzi del petrolio.
Meno rassicuranti le prospettive monetarie (e, quindi, finanziarie) di alcuni Paesi dell’Europa orientale che, entrati nell’Ue, hanno aumentato alla grande la loro esposizione verso l’estero (specialmente nei confronti della Svizzera oltre che dell’area dell’euro) per fruire di tassi d’interesse reali molto più bassi di quelli praticati in Patria. Un situazione, per molti aspetti, analoga a quella che caratterizzò la crisi di liquidità dei Paesi del Sud Est asiatico nel 1997-98. Analogamente a quanto si verifico dieci anni fa nel bacino del Pacifico, si tratta in gran misura di indebitamento in valuta da parte di imprese del cui totale (e della cui suddivisione per creditori) nessuno pare avere piena contezza. Stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) suggeriscono che il 51% del debito circolante in Ungheria è in valuta, che l’indebitamento all’estero raggiunge il 48% del pil in Bulgaria (dove il disavanzo dei conti con l’estero sfiora il 20%) e che anche nella piccola Lettonia il debito estero tocca il 25% del pil. Ciò vuol dire che le prossime tensioni finanziarie internazionale potrebbero scoppiare all’interno dell’Ue – ai confini dell’unione monetaria. Con il Fmi in profondo travaglio sulla propria ristrutturazione (che comporta una riduzione almeno del 15% del personale), le istituzioni europee (Bers, Bce) dovranno dar prova di destrezza, speditezza e fantasia nell’affrontarla e risolverla.
La terza area di criticità è la valorizzazione delle proprietà immobiliari che dopo anni di un’ascesa apparentemente irresistibile sta cominciando a perdere lustro. Un’inchiesta dell’Economist Intelligence Unit (ripresa dal settimanale britannico) parla di tonfo probabile del mercato del Regno Unito (dove il subprime ha inciso non poco): un calo del 18% nel prossimo futuro. A fine 2007, mediamente, nel Regno Unito il costo del finanziamento dell’acquisto di una proprietà commerciale superava il canone di locazione: implicando che gli investitori contavano su ulteriori aumenti delle valorizzazioni. C’è, quindi, il rischio che la bolla si sgonfi. Spagna ed Irlanda sono alla prese con situazioni per molti aspetti simili. Negli Usa, il fenomeno è già iniziato. Ancora una volta, in Europa dovranno essere le istituzione comunitarie a prendere il toro per le corna.
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