sabato 5 gennaio 2008

BERSANI SCRUTA IL FUTURO DELL’INDUSTRIA ITALIANA

Di politica industriale si parla poco (anche in quanto molte competenze sono state trasferite alle Regioni con la revisione della Costituzione del 2001), ma le complicate vicende dell’Alitalia ne hanno dimostrato, tra l’altro, la forte esigenza per definire parametri di valutazione criteri di scelta tra differenti operazioni (specie se di impatto strategico).
Anche per questo motivo, il Ministro dello sviluppo economico Pier Luigi Bersani sta dedicando le vacanze ad aggiornarsi in materia. Provenendo dall’Emilia dei “distretti”, lo ha interessato un lavoro della Fondazione Eni Enrico Mattei - FEEM Working Paper No. 97.2007- in cui si esaminano le caratteristiche delle imprese italiane che hanno scelto la via della delocalizzazione (alla ricerca di lavoro a basso costo) nel 1995-2003 (non ci sono dati più recenti); dal 1998-2000 il fenomeno cambia pelle perché le imprese che si delocalizzano hanno sempre una maggiore proporzione di lavoro qualificato (e forte tecnologia). Non si riesce a trattenerle in Italia a ragione dell’alta tassazione e dell’elevato costo delle regole non solo dei costi del lavoro.
Cosa fare? Meglio puntare su “campioni nazionali” od “europei” tale da diventare global player nell’arena internazionale. Un’analisi empirica tedesca - CESifo Working Paper No. 2135- raggela Bersani: i “pesi massimi” brillano per scarsa crescita della loro produttività multifattoriale e possono essere palle di piombo allo sviluppo del manifatturiero. Un altro studio tedesco - Jena Economic Research Paper No. 2007-088 – fissa i paletti per i “campioni nazionali”: valgono la pena nel quadro di una politica industriale che punti su imprese che ambiscono ad avere queste caratteristiche se sono in grado di pilotare una rete regionale, europea od internazionale (a seconda del mercato di riferimento). Altrimenti, meglio lasciare perdere. Occorre ascoltare la lezione in quanto proviene dalla quella Germania la cui industria è articolata in grandi imprese ed il cui export galoppa. Tanto più che un lavoro a metà strada tra l’economia ed il diritto lo mette in guardia nei confronti delle “collusioni tacite” che si verificano in caso di fusioni e concentrazioni europee spesso sotto il pretesto di dare vita a “campioni europei”: è il CCP Working Paper No. 07-7
della Università dell’East Anglia . Si basa sull’analisi di 62 fusioni (o tentativi di fusioni) la cui documentazione è in quegli archivi della Commissione Europea che iu nostri diplomatici, dirigenti e funzionari pare abbiano difficoltà a consultare.

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