Nelle ultime ore del 2007 si è svolta una breve polemica da non accantonare con l’inizio del nuovo anno. Essa va al cuore di uno dei nodi centrali dell’azione di governo (quale che ne sia il conducente) ed è, per molti aspetti, parte integrante del dibattito sull’andamento delle retribuzioni negli ultimi anni. Riguarda quali sono le ulteriori riforme per il buon funzionamento del mercato del lavoro. Il giuslavorista Pietro Ichino ha posto sia al centrosinistra sia al centrodestra l’urgenza di “voltare pagina” in materia di diritto ed economia del lavoro, senza farsi inebriare dalle riduzione del tasso di disoccupazione (ora in Italia al di sotto del 6% rispetto ad una media del 7,2% per l’area dell’euro) e dell’aumento degli occupati (ora al 59% della popolazione in età da lavoro). Il centrosinistra non ha risposto. Il centrodestra ha indicato tre proposte di legge presentate di recente in materia di salute e sicurezza nel lavoro, diritto alla formazione e giusta remunerazione.
Nonostante gli esiti complessivi raggiunti (grazie a riforme iniziate oltre dieci anni fa) c’è ancora molta strada da fare, dal miglioramento nella sicurezza nel lavoro (nel 2007 “le morti bianche” hanno toccato un nuovo record) alla riduzione del fossato tra lavoratori a progetto ed a termine (anche privi in gran misura di possibilità di carriera) ai dipendenti a tempo indeterminato. La sinistra radicale propone di sterzare rispetto alle riforme e chiede anche una riduzione degli orari di lavoro nonostante un’analisi del Fondo monetario (Imf working paper n.2459) dimostri che i lavoratori francesi non sono affatto lieti della settimana lavorativa di 35 ore adottata Oltralpe ed uno studio dell’istituto tedesco sui problemi del lavoro (IZA Discussion Paper No. 2404) provi che sono i lavoratori più giovani a preferire una maggiore flessibilità. Etienne Wasmer dell’Observatoire Français de Conjonctures Economique (non certo un liberista ad oltranza) afferma che un eccesso di regolazione è come il Prozac: la tutela dei lavoratori è solo apparente e non riduce il nodo del precariato involontario.
Una via possibile è quella tracciata nel programma dell’attuale Governo francese, articolata in dettaglio in una pubblicazione del centro di ricerca d’Oltralpe EDHEC del marzo scorso e ripresa, in parte, in Italia dagli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi: un percorso verso un rapporto di lavoro unico a tempo indeterminato, ma caratterizzato da un primo periodo di protezione soltanto indennitaria per i licenziamenti derivanti da motivi economico-organizzativi (crisi, ristrutturazione aziendali). Il percorso potrebbe contemplare variazioni quali un contratto a termine iniziale di 3 anni od un periodo di franchigia dalla tutela contro il licenziamento oppure ancora incentivi ad un accordo tra le parti per la risoluzione del rapporto. Il suo merito principale sarebbe non solamente quello di colmare il solco tra i dipendenti a tempo indeterminato e gli altri ma anche quello di superare la vasta gamma di fattispecie di contratti di lavoro (attualmente una cinquantina) – un vero e proprio labirinto, croce e delizia di barracuda-esperti del diritto del lavoro ma fonte continua di rigidità più o meno occulte e di complicazioni per tutti.
Chi, nei due schieramenti, è pronto a raccogliere la sfida?
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