La “tragedia” in musica su Orfeo ed Euridice di Christoph W. Gluck è una delle poche opere del Settecento rimaste nei cartelloni nei secoli successivi. Nell’Ottocento la si è messa in scena nell’adattamento (ai gusti dell’epoca) fattone nel 1859 da Hector Berlioz. Nel Novecento nella versione edita nel 1889 da Ricordi che interpolava l’adattamento di Berlioz con le due versioni originali di Gluck (una del 1762, in italiano, per Vienna ed una del 1774, in francese, per Parigi) , nonché con arie di altre opere del compositore boemo. L’anno scorso ha girato per mezza Italia un allestimento fedele alla edizione con cui nel 1762, Gluck effettuò una vera e propria riforma fondendo tutti i mezzi espressivi (parola, musica, danza, mimo) al servizio della verità scenica. E’ a Bologna (sino al 19 gennaio) la versione francese del 1774 in un adattamento (non filologico) che sarà all‘Opéra National di Monptellier sino all’inizio di febbraio per viaggiare poi in altri teatri. Le differenze (rispetto alla versione viennese) sono molteplici: Gluck ampliò l’orchestrazione, aggiunse arie e soprattutto riscrisse il ruolo del protagonista – un castrato a Vienna ed un tenore dalla tessitura ampia (dal sol al re acuto), ma prevalentemente alta, a Parigi. L’interesse dello spettacolo è, da un lato, la rarità di esecuzioni basate sulla versione del 1774 e, dall’altro, il fatto che il tenore Roberto Alagna è affiancato dai propri fratelli (David, regia e Frédéric scene).
Alagna avrebbe dovuto cantare il ruolo tre lustri fa, quando era il tenore lirico leggero dalla voce vellutata che incantò in una “Bohème” co-prodotta dal Maggio fiorentino e dall’Opéra di Parigi. Non è l’età che gli ha appesantito il timbro (e lo pone in difficoltà con il registro previsto per la parte) ma la sua ostinazione a perseguire ruoli da tenore “spinto”; una vocalità più adatta ad Orphée è quella di John Osborn (che lo sostituisce in alcune repliche). Alagna ottiene applausi grazie alla recitazione impeccabile ed all’avvenenza (nonostante il passare degli anni). Serena Gamberoni (Eurydice) conferma di essere un soprano lirico puro di livello. Il ruolo della Guida nell’Aldilà (composto per un soprano) è affidato, per esigenze di regia, a Marc Barrad, un buon baritono di agilità. Efficace il coro guidato da Paolo Vero. Asciutta anche troppo la concertazione Giampaolo Bisanti.
L’”adattamento” si prende molte libertà: tagli di numeri importanti, modifiche alla tessitura delle voci, interpolazioni. E’ stato curato da David Alagna a servizio della sua regia – una messa in scena (contestata da parte del pubblico) ma che rappresenta uno degli aspetti interessanti dello spettacolo. Il mito di Orfeo viene trasportato in una morbosa (ed un po’ pecoreccia) provincia francese degli Anni 70 dove si respirano atmosfere alla Louis Malle. Euridyce muore in un incidente d’auto (dopo una festa nuziale piuttosto libidinosa). Dato che Orphée non si rivolta a guardala (nell’uscire dall’Ade) fa l’amore con la Guida quasi di fronte al marito. Anche il finale è differente da quello della “tragédie” di Gluck che, secondo le convenzioni dell’epoca, doveva essere lieto: Orphée non diventa una costellazione ma finisce nella bara con la consorte (defunta per la seconda volta). Questa chiave di lettura può non piacere ma è portata avanti con rigorosa coerenza e sobrietà anche scenica (elemento utile a portare lo spettacolo in diversi teatri). Ed avvince parte degli spettatori meno ancorati alla traduzione.
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