lunedì 28 gennaio 2008

RICOMINCIARE A PRIVATIZZARE. PARTENDO DALLA RAI

Dopo una fin troppo lunga pausa, si riparla di privatizzazioni. Prima dell’apertura formale di una crisi in atto già da mesi, Padoa-Schioppa ha annunciato che dopo quella dell’Alitalia (ancora pare di là da venire), ce ne saranno altre; l’elenco è lungo ma non ha indicato tempi, priorità e modalità. L’Amministratore Delegato delle Poste s.p.a. ha candidato l’azienda di cui ha la responsabilità alla denazionalizzazione in quanto ha utili significativi- appetibile, quindi, agli investitori. Dal mondo finanziario milanese giungono sussurra e grida in favore della completa privatizzazione della Cassa Depositi e Prestiti. In breve, le idee non mancano- anche se nessuno fa riferimento al comparto più urgente per migliorare la qualità della vita di cittadini ed imprese: i servizi pubblici locali. Chiunque nei prossimi mesi sarà a Palazzo Chigi ed a Via Venti Settembre dovrà riprendere le fila di un “dossier” (nel lessico comunitario) accantonato in questa XV legislatura.
C’è un ostacolo oggettivo: dopo una fase (2005-2007) di abbondante liquidità (sia interna sia internazionale), i mercati piangono: le Borse crollano al timore di una recessione Usa, la crisi dei mutui Usa sta prosciugando il private equity anche e soprattutto in Europa, nessuno intende (a ragione) rivolgersi ai fondi sovrani di Russia, Cina, Opec e Paesi asiatici per finanziare privatizzazioni. Dunque, occorre trovare privatizzazioni, al tempo stesso, prioritarie e tali da non richiedere grandi capitali.
La prima s.p.a. (di cui Via Venti Settembre è azionista totalitario) da trasformare in “public company” ad azionariato diffuso è la Rai. Siamo l’unico Paese al mondo a regime politico non dittatoriale con tre canali televisivi pubblici in chiaro e numerosi in digitale, per di più finanziati sia con la pubblicità sia con il canone. La Rai è l’unica s.p.a al mondo il pagamento dei cui servizi non è scelta dei consumatori ma viene esatto dal fisco. Prima che “l’anomalia Rai” ci porti fuori dall’euro, dall’Ue e pure dall’Ocse, rendiamola una s.p.a. normale.
Ho spiegato come farlo in sedi tecniche. In breve, si deve riprendere l’idea dell’economista Usa Steve H. Hanke: distribuire le azioni Rai ai cittadini in base all’età anagrafica di ciascuno (quanto più si è anziani tanto più si è dovuto pagare per sorbire programmi di bassa qualità ed informazione politicamente orientate); vincolarne la destinazione per un periodo(5-7 anni) a fondi pensione (contribuendo a risolvere così anche il nodo della previdenza complementare). Gli organi di gestione e di controllo verrebbero eletti dai soci, come in qualsiasi s.p.a.: ovviamente, l’azienda dovrebbe essere competitiva (su scala europea e mondiale) e le si applicherebbero (come a qualsivoglia s.p.a.) tutte le regole del diritto societario. Ed il servizio pubblico? Da un lato, ormai viaggia sul web. Da un altro, gli italiani-azionisti hanno maggior rispetto per la cultura e l’informazione di chi propina “isola dei famosi” & similia.

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