sabato 26 gennaio 2008

RIDURRE LA SPESA PRIMA DI TAGLIARE LE TASSE. ALTRIMENTI E' PEGGIO


L’allargamento dell’Unione Europea (Ue), vanto, a torto od a ragione, Romano Prodi, ha conseguenze significative in termine di politica tributaria. VVV (ossia il Vice Ministro Vincenzo Visco, molto pro-tempore) ha in bella vista sulla sua scrivania un lavoro della Università di Colonia (Iza Discussion Paper N. 3142) in cui si dimostra come il successo della “flat tax” (un’aliquota unica, piuttosto bassa, sgomberando il campo da agevolazioni, incentivi e tutti) nei Paesi neo-comunitari dell’Europa centrale ed orientale metta a repentaglio i complicati (e pesanti) sistemi in altri Paesi Ue (come quello dell’Italia). L’analisi indica che se introdotta in Germania, la “flat tax” potrebbe aumentare le disuguaglianze di reddito (ove non accompagnata da una revisione del welfare). Conclusioni analoghe si ricavano da simulazioni effettuate in Olanda (Cesifo Working Paper N. 1890).
Sorgono tre interrogativi: a) sono i sistemi tributari degli Stati della “vecchia” Ue ad essere più o meno efficienti, sotto il profilo economico e sociale oppure lo sono l’estensione e le modalità di intervento pubblico in essi radicatosi?; b) gli Stati neocomunatari a “flat tax” e poco welfare non finiranno per fare le scarpe agli altri?; c) l’arma vincente non consiste nell’”affamare la bestia”, ossia ridurre aliquote e gettito per imporre una marcia indietro della mano pubblica?
Alla prima domanda risponde uno studio del Ministero dell’Economia danese e dell’Università di Copenhagen (Cesifo Working Paper n. 1859): ci piaccia o non ci piaccia, nell’Ue, un coordinamento delle politiche tributarie è inevitabile e tale da comportare vincitori e vinti . Alla seconda, un saggio del pensatoio liberale svedese Timbro dimostra che proprio nell’Europa occidentale i Paesi con la mano pubblica più tentacolare sono anche quelli dove l’esclusione sociale sta crescendo più rapidamente. Questa ipotesi viene rafforzata da un lavoro della Commissione Europea ignorato in Italia, le previsioni al 2050 della produttività del lavoro nell’Ue a 25 (prima che entrassero Bulgaria e Romania): un rallentamento marcato nell’Ue in generale ma soprattutto in quelli la cui popolazione si invecchia, lo stato sociale è esteso ed il sistema tributario pesante. Una prova del 9 si ha, indirettamente, da uno studio dell’Università Carlo III di Madrid (Cepr Discussion Paper n. 5812): negli Stati Uniti (dove il welfare è leggero e la pubblica amministrazione non è – per utilizzare i qualificativi di Giuliano Amato – “impicciona” e “pasticciona”) i maggiori beneficiari di una “flat tax” sarebbero proprio i più poveri.
La lezione è chiara: occorre ridurre l’onere tributario e semplificarne la struttura – questo il significato della “flat tax” (anche se non si va immediatamente ad aliquota unica ma si viaggia verso di essa durante una fase di transizione). E’ fattibile se non si opera preliminarmente dal lato della spesa, soprattutto di parte corrente. E’ questo quanto VVV ha chiesto al suo “superiore” (sempre “pro-tempoe”), il Ministro dell’Economia e delle Finanze, TPS. Per anni si è credito nella strategia (mai praticata in Italia) di imporre una riduzione della spesa smettendo di alimentarla con gettito tributaria. A raggelare questa tesi, è venuto qualche mese settimana fa un saggio di Christina e David Romer della Università della California a Berkeley (Nber Working Paper N. W 13548) in cui si dimostra (sia tramite un’analisi econometrica comparata sia tramite lo studio di quattro “episodi” effettivi di politica economica) che l’assunto non tiene: se non si taglia prima la spesa pubblica meno produttiva, aumentano deficit e disavanzo e, dopo un paio di esercizi, occorre aumentare di nuovo la tasse. Quindi, chiedere ai Ministri della spesa di mettere le loro case in ordine. Se non vogliamo entrare nel circolo vizioso: alte tasse, alto welfare, bassa produttività, accresciuta concorrenza dei neocomunitari.

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