martedì 14 marzo 2017

Ridurre il debito pubblico con la conversione della rendita in Avvenire 14 marzo



Dibattito.
Ridurre il debito pubblico con la conversione della rendita
L’attuale contesto dei tassi rende difficile lo «swap»
La proposta per ridurre il debito pubblico formulata da Raffaele Polonio (Avvenire del 12 marzo 2017, ndr) affonda le sue radici nella storia economica italiana, ma rischia di trovare oggi un contesto generale che ne rende particolarmente difficile la realizzazione.
Andiamo con ordine. La proposta è sotto il profilo teorico una delle numerose varianti della «conversione della rendita» attuata dal terzo Governo Giolitti nel 1906 su proposta del Ministro delle Finanze Angelo Majorana-Calatabiano sostituendo i titoli di Stato a reddito fisso che venivano a scadenza con altri con rendimenti inferiori. L’operazione venne preparata in segretezza e condotta con notevole cautela e competenza tecnica, anche a detta di esperti stranieri: prima di intraprenderla, il governo chiese e ottenne la garanzia di numerosi istituti bancari. Venne attuata con grande rapidità, per evitare reazioni negative delle Borse. Il 29 giugno 1906, l’esecutivo presentò un disegno di legge che prevedeva la conversione delle rendite consolidate che davano il 5% (4% netto) l’anno al 3,75% netto a partire dal 1º luglio 1907 e , dopo il 1º luglio 1912, al 3,5% netto. In un solo giorno il provvedimento fu approvato sia dalla Camera sia dal Sena- to, sanzionato dal Re e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Difficile pensare ad una tale riservatezza e a una tale speditezza ai giorni nostri. Soprattutto, opinione pubblica, banche e Parlamento erano state convinte da una forte giustificazione finanziaria ed etica: non solo il peso del debito ingessava la crescita del Regno, ma si era passati da una fase in cui l’Italia aveva cominciato a conoscere l’inflazione ad anni in cui si sfiorava la deflazione. Con il risultato che i detentori di titoli a lunga scadenza godevano di rendimenti reali molto elevati. Ecco il profumo dell’acqua di colonia alle violette delle nostre nonne.
Una situazione analoga, si può dire, si è verificata in questi anni: chi ha titoli acquistati negli anni Novanta ha fruito di cedole molto consistenti in termini reali. Tuttavia, i mercati internazionali stanno voltando pagina. Alla prossima riunione della Federal Reserve (domani e dopodomani) la campana molto probabilmente indicherà un rialzo dei tassi. Che si propagherà in Europa e nel resto del mondo. Quindi, la giustificazione per un’operazione del genere sarà molto meno cogente. In questi ultimi anni (quando i tassi erano raso terra o negativi), l’idea è stata presentata altre volte; ad esempio nella giornata di studio al Cnel (5 giugno 2012) dove sono stati confrontati i principali metodi per ridurre il debito e nello studio realizzato dalla Fondazione Astrid per il Governo Letta. È stata sovente evocata nelle audizione sul Documento di Economia e Finanza e della Legge di bilancio. È stato pure esaminato come farne una scelta volontaria (con in cambio benefici tributari): avrebbero aderito in pochi. Mentre numerosi sarebbero stati convinti dall’esigenza di una misura forzosa ma meno iniqua dei vari contributi gravanti solo sui pensionati. E non avrebbero gridato al default.
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