Consigli non richiesti al
governo su riforme, spending review e investimenti
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Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
Si stanno
avvicinando i giorni delle “manovre” di finanza pubblica: il 10 aprile è la
scadenza per il Documento di economia e finanza (Def) e per il Programma
nazionale delle riforme (Pnr). Contemporaneamente, occorre rispondere, con
azioni e fatti, ai rilievi dell’Unione europea (Ue) alla legge di bilancio
2017. Saggezza suggerisce che ci sia una “manovra” unica, non due manovre
distinte, anche in quanto la scadenza naturale della legislatura è tra circa un
anno. Sarebbe anche contemplabile una manovra estesa sino alla fine del 2018,
con una prima parte da attuare questa primavera e la seconda da incorporare
nella legge di bilancio da varare entro Natale. È essenziale che gli
orientamenti ed i contenuti siano essenzialmente i medesimi.
Da
interviste, voci di Palazzo, dichiarazioni a mezza bocca, si deduce che il
governo sta mettendo a punto una manovra su due pilastri: spending review per
ridurre la spesa e, quindi, il carico tributario (specialmente quello sul
lavoro); rilancio dell’investimento (e pubblico e privato) con obiettivi sia di
breve periodo (migliore utilizzazione dei fattori produttivi) sia a lungo
termine (aumento della produttività tramite la disponibilità di maggiore
capitale sociale). I due pilastri sono ineccepibili.
Occorre,
però, chiedersi come verranno attuati. Su Formiche.net, ho trattato spesso di
spending review e degli scarsi risultati ottenuti dalle cinque
edizioni sino ad ora avute affidate a Commissari. Su questi temi, ho scritto
libri sia accademici sia divulgativi, l’ultimo una ‘guida’ spending
review basata su esperienze internazionali e redatta in modo che
potesse essere adottata anche delle fatidiche massaie di Voghera (La Buona
Spesa con Stefano Maiolo, Biblioteca del Centro Studi ImpresaLavoro). Se si
è, finalmente, deciso di fare qualcosa di serio occorre rispondere a due
domande: a) a quale istituzione affidare una spending review di lungo
periodo (meglio ancora permanente come negli Usa, in Francia, in Gran Bretagna,
in Germania ed in altri Paesi); b) quale metodo adottare. Propongo da decenni
che ne venga incaricata la Ragioneria Generale dello Stato (Rgs), non
Commissari precari e provvisori, e che si utilizzino l’analisi costi benefici
(estesa alle opzioni reali) ed il ‘metodo degli effetti’. Se queste proposte
non sono, per un motivo o per un altro, accettabili, il governo ne formuli
altri. Non si può eludere il problema.
Per quanto
attiene in particolare all’investimento pubblico e soprattutto a quello per
infrastrutture, esce in questi giorni, per Marsilio Editori, un libro
importante che verrà presentato al Cnel il 23 marzo: Programmare e/è
pianificare. Una lunga storia critica di Ercole Incalza, il quale,
in varie capacità, è stato uno dei protagonisti della infrastrutturazione del
Paese dall’inizio degli anni ottanta ad oggi. Sono 430 pagine dense che
ricostruiscono le vicende, le difficoltà, le problematiche, gli ostacoli
dell’investimento per opere pubbliche in Italia. Si può non essere d’accordo
con ogni riga o paragrafo (io stesso dissento su alcuni punti), ma si tratta di
lavoro che il governo dovrebbe studiare con cura al fine di individuare quali
sono le soluzioni da mettere in atto alle problematiche sollevate. Anche in
questi casi, se le proposte non sono ritenute valide, se ne formulino
alternative. Non si può eludere il problema.
Ultimo
punto. Dal 1995 al 2008, sono stati tenuti, presso le varie diramazioni della
Scuola nazionale della pubblica amministrazione, oltre duecento corsi di
formazione in metodi e tecniche di valutazione della spesa sia di parte
corrente sia in conto capitale; numerosi finanziati su fondi europei. Dal 2008
sono stati praticamente sospesi. Se non andavano bene quelli modulati sui
programmi europei, si formulino alternative. Ancora una volta, non si può
eludere il problema.
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