Palchi e platee
Beckmesser
I maestri cantori tornano a Milano
Balzac era notoriamente ateo: scrisse, però, che il
Meursault (il Re dei vini bianchi di Borgogna) va bevuto in ginocchio in quanto
è l’unica prova dell’esistenza di Dio. Analogamente, Theodor Adorno, guida
della Scuola di Francoforte, poco aveva a che spartire con il nazionalismo
tedesco, anzi, era decisamente marxista. Ha scritto, tuttavia, che Die
Meistersinger von Nürnberg è la più alta espressione del genio dell’occidente.
Non solo condivido l’affermazione di Adorno; ma, a mio avviso, Die
Meistersinger è (con le mozartiane Nozze di Figaro e poche altre) una di quelle
opere al termine della cui esecuzione vorrei veder ri-iniziare. Pur se la
partitura di Die Meistersinger (escludendo gli intervalli) dura poco meno di
cinque ore. Dopo 25 anni, il capolavoro torna alla Scala. La trama è semplice.
Nella Norimberga a cavallo tra la fine del medioevo e l’inizio del
rinascimento, si svolge una gara di canto. L’orafo Pogner ha messo in palio la
figlia (la 18enne Eva) che, se decide di non impalmare il vincitore, deve
comunque scegliere come sposo un maestro cantore. Due 40enni i principali
contendenti: il calzolaio poeta Hans Sachs e il segretario comunale, nonché
occhialuto censore delle arti, Beckmesser. Eva, però, è innamorata del
cavaliere di Franconia (un aristocratico, pur se non di alto rango) Walther, il
quale la ricambia ma fallisce la prova necessaria per essere ammesso alla
corporazione dei cantori. Sachs comprende l’amore dei giovani, rinuncia ai
propri disegni su Eva e, in una lunga notte di imbrogli, addestra Walther in
modo che sconfigga Beckmesser, vinca la mano di Eva e abbia sempre presente i
valori della sacra arte tedesca. Su questa trama, se ne inseriscono secondarie,
nonché una serie di intrighi e colpi di scena e un impagabile finale a
sorpresa. Pur se storicizzata nella società tedesca alla fine del XV secolo,
Die Meistersinger è una grande commedia umana con valenza generale e a-storica,
ma fortemente salda ai valori dell’occidente: esalta le libertà civili ed
economiche, la tolleranza, il mercato, il lavoro, l’industriosità,
l’apprendimento, l’amore in tutte le sue guise, la lealtà intergenerazionale,
la sacralità dell’arte e del pensiero e la continuità dei valori in un periodo
di cambiamento. C’è anche un forte senso religioso, dal “do” iniziale
dell’ouverture (quasi il rintocco di una campana) ai riferimenti alla
provvidenza da parte del protagonista (il poeta- ciabattino Hans Sachs, per cui
la rinuncia a Eva è un dono della provvidenza). Nelle circa sei ore di
spettacolo (intervalli compresi), si ride e ci si commuove e si è trascinati da
un flusso continuo diatonico, dove domina il contrappunto e ha un ruolo
determinante la polifonia. La sua messa in scena presenta enormi difficoltà per
la regia, per l’orchestra, per le voci (17 solisti, un doppio coro, un coro di
voci bianche e anche un breve ma incisivo balletto). Ricordo edizioni
eccellenti, ma anche alcune del tutto inadeguate. Ne ho visto e ascoltato
ottime e spesso, la comprensione del testo – a volte presentato in Germania
anche senza musica, ossia come una pura commedia – era agevolata dai sovra
titoli, naturalmente non presenti alla Scala di 25 anni fa. Senza dubbio,
conosco molto bene l’opera (piena di battute scoppiettanti e in
cui il sinfonismo continuo del Wagner post-Lohengrin lascia spazio ad arie,
duetti, terzetti ed a un magnifico quintetto in cui si riassume il significato
del lavoro e si facilita il cambio scena tra il primo e il secondo quadro del
terzo atto). L’esaltazione dei valori dell’occidente è la chiave attraverso cui
si comprende Die Meistersinger anche con una conoscenza approssimativa del
tedesco. Cosa di più “trasparente” si può immaginare?
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