Čarodejka candidata
al Premio Abbiati
al Premio Abbiati
di Giuseppe
Pennisi
03 marzo
2017CULTURA
Il “Premio
Franco Abbiati” (l’Oscar italiano per la lirica) 2017 per la categoria “prima
italiana di opera straniera” è stato già individuato, anche se ovviamente non
assegnato (il conferimento arriverà, se non emergono produzioni migliori, tra
circa un anno). Pur se siamo ancora all’inizio del 2017, sulla base di quanto
già visto e ascoltato, nonché dei cartelloni dei teatri, lo attribuirei senza
esitazione a Čarodejka (ossia “La maliarda” o “L’incantatrice”), terz’ultima
opera di Pyotr Ilyich Tchaikovsky in prima rappresentazione in Italia (a 130
anni dalla prima assoluta avvenuta il primo novembre 1887 al Teatro Mariinskij
di San Pietroburgo). Čarodejka è tratta da un romanzo, e poi tragedia in cinque
atti, di Ippolit Vasil’yevich Shpazhinsky, uno scrittore popolare dell’epoca,
il cui drammone allora aveva enorme successo.
La decisione
di farne un’opera e di affidarla a Tchaikovsky aveva suscitato notevoli attese.
Tuttavia, venne accolta in modo piuttosto freddo, soprattutto per la sua
lunghezza. E anche nell’Impero Russo ebbe poche produzioni: a Tbilisi in
Georgia nel 1887, a San Pietroburgo (nel 1888) e a Mosca nel 1900. Venne
rappresentata, in versioni troncate, nel Novecento nell’Impero Sovietico,
prima, e nell’Urss, poi. Ma non tornò a ribalte di rilievo sino al 1941 e non
apparve mai in Occidente. Dove sino ad ora era conosciuta solo tramite due
registrazioni russe - una del 1954 e una del 1978 - nessuna delle due di grande
livello tecnico.
Vista in
scena al Teatro San Carlo, in coproduzione con il Mariinskjj e con il São
Carlos di Lisbona, ci si accorge che siamo di fronte a un capolavoro grazie
allo sforzo congiunto di orchestra e coro del teatro napoletano (diretti
rispettivamente da Zaurbek Gugkaev e da Marco Faelli) e degli interpreti della
compagnia stabile del teatro di San Pietroburgo (nei ruoli principali Ekaterina
Latyševa, Ivan Novoselov, Ljubov’ Sokolova, Nikolaj Emcov, Aleksej Tanovickij,
Ljudmila Gradova). Tutti di grande livello vocale e attoriale.
Čarodejka
non è il “capolavoro” operistico di Tchaikovsky, ma di un capolavoro di quel
genere che nel tardo Ottocento - inizio Novecento cercava una via nuova per il
teatro in musica tra grand opéra francese, verismo italiano e literaturoper
alla Massenet, inserendolo in un contesto di musica slava (cori popolari,
danze). Non ce ne siamo accorti sino ad ora probabilmente perché il libretto,
preso alla lettera, è una trucida leggenda medioevale di sesso e di sangue.
David
Pountney e la sua équipe drammaturgica (scene di Robert Innes Hopkins), costumi
di Tatiana Noginova, luci di Giuseppe Di Iorio, coreografia di Renato Zanella),
spostano l’azione dal XIV secolo all’epoca in cui l’opera è stata messa in
scena per la prima volta. Il tema centrale diventa la decadenza di una famiglia
e di un’epoca in un grande capoluogo di provincia (Nižnij Novgorod) a metà
strada tra Mosca e gli Urali.
Čarodejka è
stata definita una Traviata“russa” dato che la protagonista è la tenutaria di
un bordello di lusso di cui sono innamorati padre e figlio della “alta società”
provinciale, ma l’ambientazione dannunziana (più vicina a Tchaikovsky che a
Verdi) le dà un sapore differente e spiega la musica: l’accento sul declamato,
gli abbandoni orchestrali negli intermezzi, il colore locale. La bacchetta di
Zaurbek Gugkaev ha un ruolo importante nel dare un mix appropriato ai vari
stilemi richiamati nella partitura e di farne uno stile compositivo unico che
riapparirà nell’ultima opera di Tchaikovsky, “Iolanta”, e che in certi passaggi
anticipa il “Novecento storico” pur restando in altri agganciato alla musica
tradizionale russa.
Ci sono, è
vero, passaggi non del tutto levigati e lungaggini. Nonostante questi difetti,
la decisione del Teatro San Carlo di far riscoprire questo grande
lavoro musicale è un segno di grande intelligenza e vitalità.
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