L’Europa
ridimensiona l’idea dell’output gap
GIUSEPPE
PENNISI
Mentre
fervono i preparativi per le celebrazioni per i sessanta anni dalla firma del
Trattato di Roma, proseguono le discussioni tra Italia e Commissione Europea
sulla politica di bilancio. Ci vorranno ancora alcune settimane perché vengano
pubblicate le 'pagelle'. Due elementi importanti di questo confronto, il
Documento di Economia e Finanza (Def) ed il Piano Nazionale di Riforme (Pnr)
saranno varati il 10 aprile. Tuttavia, la metodologia che si sta mettendo a
punto in queste settimane sembra differire da quella del recente passato, che
aveva come elemento determinante le stime dell’output gap (le differenze
tra prodotto potenziale ed effettivo), modalità che prevede procedure di
misurazione significativamente differenti. Il Bollettino di Ricerca della Banca
centrale europea ha dedicato mesi fa un capitolo alle dimensioni dell’output
gap nell’area euro ('How Large is the output gap in the euro area' è il
titolo dello studio), nonché una serie di documenti tecnici di approfondimento,
da cui si deduce che i calcoli dell’output gap non sono solo
estremamente reattivi ai dati utilizzati (specialmente su disoccupazione e
salari) ma sono facilmente «suscettibili di manipolazioni econometriche » (un rilievo
pesante per un metro di giudizio per politiche economiche e finanziarie). La
Bce cita «manipolazioni» nelle stime Fondo Monetario ed Ocse nonché negli
stessi lavori fatti nei propri servizi. È probabile che a partire di questa
primavera il ruolo dell’output gap (e le conseguenti polemiche sulle
procedure di stima) verrà de-enfatizzato. E si adotterà un altro percorso: la
sincronizzazione dei cicli economici, ossia in che misura le varie economie
dell’Unione Europea (Ue) , non solo dell’area dell’euro, marciano allo stesso
passo in fasi di espansione e di contrazione.
Uno studio
quantitativo di Markus Ahlborn e Marcus Wortmann della Georg-August Unversitaat
di Gottigen ('Output Gap Similarities in Europe: detecting country groups' il
titolo) usa la sincronizzazione dei cicli come metro, uguale per tutti, per
stimare l’output gap.
Nel lavoro
la sincronizzazione dei cicli diventa il metro, uguale per tutti, per stimare
l’output gap. Applicando la metodologia statistica a 27 Paesi (i 28 dell’Unione
meno Cipro, Malta e Lusssemburgo, più Norvegia e Svizzera) ed utilizzando i
dati trimestrali del Pil dal primo trimestre 1996 al quarto trimestre 2015, lo
studio identifica un gruppo centrale di ciclo economico europeo, ossia di Paesi
che si muovono alla stesso passo e che quindi costituiscono un’area omogenea.
Questi sono i Paesi strettamente collegati alla Germania come Danimarca,
Svezia, Svizzera e il Regno Unito, il Benelux, nonché la Repubblica Ceca, la
Polonia e l’Ungheria (tre Stati che secondo l’analisi sono pronti ad adottare
l’euro).
Secondo
questa analisi, nel periodo 1996-2007, l’Italia era prossima a questo gruppo,
ma se ne è distaccata in misura significativa successivamente. Se non
effettuerà riforme economiche drastiche, se ne distanzierà ancora di più.
Aumentando le proprie difficoltà in materia sia di debito e finanza pubblica
sia nel sociale (occupazione, diseguaglianze)
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La differenza tra crescita
potenziale ed effettiva è considerata un criterio troppo malleabile per essere
usato nella valutazione dei budget degli Stati dell’Ue
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