Le tre regine Tudor
di Donizetti all’Opera
di Donizetti all’Opera
di Giuseppe
Pennisi
21 marzo
2017CULTURA
Domani, al
Teatro dell’Opera di Roma, va in scena una delle tre opere di quella che viene,
a giusto titolo, chiamata la “Trilogia delle regine Tudor” di Gaetano
Donizetti, Maria Stuarda. La “Trilogia Tudor” è un unico nella fertile
produzione del compositore (74 opere tra compiute e incompiute). Escludiamo dal
computo della trilogia “Elisabetta al Castello di Kenilworth” del 1829 in
quanto, pur classificato come “melodramma serio”, è un lavoro semi-serio con
lieto fine, segue tutte le convenzioni del genere e, nonostante una buona
registrazione di alcuni anni fa, non ha mai avuto una vera e propria
“renaissance” in tempi moderni. “Anna Bolena”, “Maria Stuarda” e “Roberto
Devereux” (composte tra il 1830 ed il 1837) hanno un filo conduttore comune:
tragedie (più che drammi) tutte al femminile, imperniate non tanto sugli
intrighi di potere tra i Tudor e i “cugini” Stuart per il controllo del più
grande impero del mondo, ma sulla passione delle tre protagoniste per un uomo:
tre amori impossibili in cui l’eros è contrastato dalla ragion di Stato.
Sparite dai
palcoscenici nella seconda metà dell’Ottocento, quando trionfava il melodramma
verdiano, le tre “regine” sono riapparse verso la metà del Novecento,
soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Le “regine” donizettiane hanno
trionfato prima sui palcoscenici anglosassoni che su quelli italiani. Se ne
ricorda una bellissima edizione, alla fine degli anni Sessanta, costruita su e
per Beverly Sills alla New York City Opera e registrata in studio per la Emi.
In Italia, “Maria Stuarda” in particolare venne riscoperta al “Maggio Musicale”
del 1970; ricordo una buona rappresentazione di “Roberto Devereux” (allora
ancora sconosciuto al grande pubblico italiano) in Corea, in un cinema-teatro
di Seul, nel lontano 1973.
Riascoltate
in sequenza, l’una dopo l’altra, le tre “regine” hanno una grande presa, anche
e soprattutto se la stessa cantante decidesse di calarsi in un vero e proprio
tour de force (siamo ancora ancorati al “bel canto” belliniano intriso, però,
dal gusto allora nuovo per lo sfoggio degli acuti). L’effetto diminuisce,
invece, se le tre opere vengono rappresentate separatamente. In questo senso
andrebbe rivolto un invito al Festival Donizetti di Bergamo: predisporre nel
tempo un mini-festival nel quale le tre “regine” possano essere gustate una dopo
l’altra nell’arco di una o due settimane.
La partitura
e il libretto di “Maria Stuarda” sono quelli che hanno subito maggiori
rimaneggiamenti a causa sia della censura (Napoli ne vietò la messa in scena e
Milano impose cambiamenti al testo), sia del mutamento di convenzioni nella
struttura del melodramma (tra cui il passaggio dalla suddivisione da due a tre
atti). “Maria Stuarda”, tra le “regine”, è anche la più breve e più compatta:
poco più di due ore di musica rispetto alle tre richieste da “Anna Bolena” e
“Roberto Devereux”.
Nella
produzione del Teatro dell’Opera, in collaborazione con il San Carlo di Napoli,
viene seguita l’edizione critica in due atti curata da Anders Wiklund che
cerca, al meglio, di proporre quella che avrebbe dovuto essere la versione
destinata a essere rappresentata al San Carlo nel 1834 (e che venne ascoltata
unicamente alla prova generale). L’edizione critica accentua ancora di più il
dramma a due voci femminili: un soprano in grado di passare dalle vette della
coloratura al declamato nel ruolo della regina di Scozia e un mezzo o soprano
“spinto” in quello della regina d’Inghilterra. Le due sovrane si contendono un
tenore di grazia (il cui ruolo è peraltro limitato): è per il possesso del bel
Leicester che Maria Stuarda viene inviata al capestro da Elisabetta. Questa è
l’edizione ormai corrente: unicamente facendo riferimento ai teatri italiani,
si è vista nel 2006 a Roma, nel 2007 a Macerata e alla Scala e nel 2009 al
Massimo Bellini di Catania, alla Fenice, al Verdi ed Trieste ed al Massimo di
Palermo. L’opera verrà trasmessa in diretta sulle frequenze di Rai Tre.
Si tratta di
un titolo tanto raro per Roma da essere stato messo in scena solo in altre tre
occasioni: nel 1969/70, nel 1997 e nel 2006. Dal podio dirige l’Orchestra del Teatro
dell’Opera di Roma il Maestro Paolo Arrivabeni. Il nuovo allestimento vede la
regia di Andrea De Rosa, le scene di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula
Patzak e le luci di Pasquale Mari. Vede il ritorno al Teatro dell’Opera di
Marina Rebeka (Maria Stuarda, Regina di Scozia) e Carmela Remigio (Elisabetta,
Regina d’Inghilterra). Con loro nel cast anche Paolo Fanale (Roberto, conte di
Leicester), Carlo Cigni (Giorgio Talbot), Alessandro Luongo (Lord Guglielmo
Cecil) e Valentina Varriale (Anna Kennedy). Quest’ultima fa parte del progetto
“Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, come Roberta
Mantegna ed Erika Beretti che, il 4 aprile (ultima replica), canteranno
rispettivamente nei ruoli di Maria Stuarda ed Elisabetta. Maestro del Coro
dell’Opera di Roma, Roberto Gabbiani.
(*) Foto per
gentile concessione del Teatro dell’Opera di Roma
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