Giuseppe
Pennisi
Norma di Vincenzo Bellini è una delle opere
più apprezzate dal pubblico palermitano. L’elegante programma di sala, curato
da Floriana Tessitore, elenca circa 45 edizioni dal 1830. Mancava dal Massimo dal
2007 quando è stato presentato un allestimento tradizionale (templi
gallo-romani, foreste, roghi) di Walter Pagliaro e Roberto Verso, con la
concertazione di Bruno Campanella.
Quindi, la
produzione Jossi Wieler e Sergio Morabito, rispettivamente sovrintendente
e direttore artistico dell’Opera di Stoccarda, era molto attesa. Tanto più che
è arrivata a Palermo dopo essere stata
vista in vari teatri perché ha
ottenuto l’Oscar della critica musicale tedesca nel 2002 ed ha ispirato la messa in scena di Moshe Leiser
e Patrice Caurier un allestimento che a sua volta ha avuto l’Oscar
internazionale della lirica nel 2013. Dopo il primo atto (che dura un’ora e
mezza), agli applausi per gli interpreti si sono aggiunti fischi (non solo dal
loggione ma anche dalla platea e dai plachi) nei confronti di regia, scene e
costumi. Al termine, applauditi
cantanti, maestro concertatore, orchestra e coro ma fischi quando è giunta sul
palco Samantha Seymour, venuta a Palermo per curare lo spettacolo di Stoccarda.
Come spiegare la
reazione da parte di un pubblico che negli ultimi anni ha gradito spettacoli
innovativi e non certo convenzionali come quelli di Vick e Michieletto.
Nell’edizione
proposta, Norma è una partigiana cristiana durante l’occupazione tedesca. La
vicenda si svolge interamente in una Chiesa spoglia, diventata rifugio di una
cellula della resistenza. Ha avuto due figli da Pollione (capo degli occupanti)
il quale vuole tradirla con la più giovane Adalgisa. A mio avviso, l’ambientazione
non inficia la drammaturgia, anzi le dona un tratto intenso e coerente: un
paese occupato, la Francia come la Gallia, una protagonista femminile che cerca
di affermare le ragioni della pace, ma fallisce. Probabilmente, sarebbe stato
utile illustrare che lo spettacolo si inserisce nella ricorrenza dell’inizio
della Grande Guerra, a cui è dedicato l’intero festival di Ravenna ed il
festival estivo di Salisburgo dedica due prime mondiale di lavori su ‘donne
contro ‘ e conflitti (una delle due
riguarda la seconda non la prima guerra mondiale). In questo senso, pur
presentando uno spettacolo concepito una dozzina di anni fa, il Massimo è
all’avanguardia, rispetto non solo a Salisburgo ma anche alla Scala (il cui
programma è stato presentato il 17 giugno e che ha calendarizzato per metà
gennaio Die Soldaten di Zimmermann,
opera pacifista su donne e guerra).
Norma è la quintessenza del ‘bel canto’, al
suo culmine nei due duetti tra la protagonista ed Adalgisa . Csilla Boross (che
molti ricorderanno nel Nabucco diretto
da Muti) ha un’estensione vastissima ed repertorio molto ampio; ha debuttato, a
Palermo nel ruolo, dopo avere cantato,
per anni, Verdi, Wagner e Puccini. Offre , quindi, una Norma drammatica di
agilità con un volume generoso. Accanto a lei, l’Adalgisa di Annalisa Stroppa
appare ancora più innocente. Aquiles Machado (Pollione) utilizza il registro di
centro più di quanto dovrebbe. Marco Spotti (Oroverso) è un serio
professionista. Sul podio dell’Orchestra del Massimo Will Humburg, uso più a
Wagner ed a Beethoven che a Bellini dove la buca dovrebbe limitarsi a
supportare le voci. Quindi, propone una lettura piena di chiaroscuri orchestrali,
molto distante dalla prassi.
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