RESISTENZA
ED INCLUSIONE
Giuseppe
Pennisi
Due parole
chiave hanno contraddistinto il forum OCSE 2014: resistenza ed inclusione.
Quest’anno il forum , tenuto come di
consueto all’inizio di maggio, si è contraddistinto per tre caratteristiche
particolari: a) i segnali di ripresa dell’economia mondiale visti quasi
contemporaneamente dall’organizzazione che ha sede a Parigi a Château de la
Muette e, per quanto riguarda l’Unione Europea (UE), dalla Commissione Europea
; b) la coincidenza del forum (che riunisce circa 1200 ‘addetti ai lavori’) con
la sessione ministeriale annuale dell’Organizzazione ; c) la ricorrenza del
cinquantenario o dell’ingresso nell’OCSE del Giappone (contrassegnata anche
dalla presenza, come oratore principale, del Primo Ministro nipponico, Shinzo
Abe. Da un lato, ciò ha fatto sì che si guardasse alla recessione,
principalmente europea, degli ultimi anni con l’ottica di apprendere lezioni e di
trovare terapie per le ferite ancora aperte. Da un altro, è stata data molta attenzione
alle relazioni tra OCSE ed ASEAN (l’Associazione degli Stati del Sud Est
Asiatico) , a cui si sono associati Australia e Nuova Zelanda ed il cui mercato
unico (in fase di avanzata costruzione) ha dimensioni doppie di quello dell’UE.
Perché resistenza
ed inclusione sono il binomio che ha caratterizzato questa sessione e
verosimilmente si proietterà nel prossimo futuro nelle politiche degli Stati
che fanno parte dell’OCSE? In primo luogo, proprio l’esperienza dei Paesi
asiatici mostra che è possibile essere in grado di resistere alla crisi: la
seconda del giornata del forum – caratterizzato da una molteplicità di sedute
plenarie e di sessioni parallele sempre legate ai due temi fondanti- è stata
aperta non da un dibattito tra economisti ma da una presentazione di ragazzi
giapponesi che hanno saputo
resistere allo tsunami ed al disastro nucleare di Fukushima accompagnati da
parlamentari dell’area. Resilience
è un termine
inglese di cui l’italiano resistenza
fornisce soltanto un’idea incompleta: vuole dire resistenza dura, indefessa ma sempre
positiva e con un’ottica non tanto ai propri vantaggi individuali quanto a
quelli della collettività. Ne scaturisce anche un messaggio forte per i Paesi
europei che più hanno sofferto per la crisi iniziata nel 2008: quelli che dato
maggiore prova di resilience sono anche
quelli che sono usciti prima e meglio dalle difficoltà.
E con una minore
divergenza nei redditi e nei consumi tra le varie fasce sociali. Quindi, il
secondo tema intimamente legato al primo: dato che – per valide o meno che
siano le statistiche pubblicate in un libro di successo dell’economista
francese Thomas Piketty – in Europa e nel Nord America negli ultimi quattro
anni le distanze di ricchezza e di reddito tra i più favoriti ed i più deboli sono
aumentate di più che nei quindici anni precedenti, le terapie per il futuro
devono porre l’accento sulla crescita inclusiva. Ciò vuol dire che includa e
faccia beneficiare i ceti ai livelli più bassi di reddito e consumo. Ciò si declina ponendo l’accento sulle risorse
umane (istruzione , sanità, sull’innovazione, sulla competitività, su
infrastrutture, industria e servizi rispettosi dell’ambiente.
Quali che
saranno gli esiti delle elezioni europee – è in corso la campagna elettorale
mentre viene scritta questa nota ma saranno noti i risultati quando questo
fascicolo di Formiche sarà in edicola
– Governo e Parlamento dovranno impegnarsi a porre l’Italia (uno dei Paesi
europei che più ha sofferta della crisi) sulla strada di una crescita inclusiva
e resistente in caso di nuove tempeste internazionali. Le crisi economiche sono
stress tests per i Paesi e
le società che ne vengono investite. C’è modo di non esserne travolti ma di
uscirne irrobustiti.
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