martedì 3 giugno 2014

Perché Renzi deve correre a Firenze a gustare le "Tre melarance" di Prokofi’ev il Il Sussidiario 4 giugno



OPERA/ Perché Renzi deve correre a Firenze a gustare le "Tre melarance" di Prokofi’ev

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L’Amour des Trois Oranges L’Amour des Trois Oranges
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Tutti i lavori di Prokofi’ev hanno un significato politico. Il compositore noto in Italia principalmente per la sua produzione concertistica, per i suoi balletti, per le sue musiche da film (“Alexandr Nevsky” e “Ivan il Terribile”, ambedue di Sergej Eisestein) e per tre opere, peraltro molto differenti, “Il giocatore’ (visto di recente alla Scala), “L’angelo di fuoco” (anche esso presentato non molti anni fa alla Scala) e “Guerra e Pace” (lavoro monumentale proposto  alcuni anni fa al Festival di Spoleto e alla Scala) nonché ovviamente per il delizioso “Pierino e il lupo”. 
Su Prokofiev è stato pubblicato fa un libro esauriente di Piero Rattalino (“Sergej Prokofi’ev- La vita, la poetica, lo stile”, Zecchini Editore 2003), la cui lettura può essere una buona premessa per meglio godere ‘L’amore delle tre melarance’ un cui nuovo allestimento è stato presentato, nel testo originale francese (L’Amour des Trois Oranges), domenica primo giugno al Maggio Musicale Fiorentino. 
E’ opera che viene vista di rado in Italia. Ricordo un allestimento al Maggio Musicale (ma in versione italiana) nel 1979; si è vista  al Carlo Felice di Genova nel febbraio 2007; si è ascoltata una versione concerto (in traduzione russo) durante una tournée del teatro di San Pietroburgo in Italia nel 1997;  ho avuto modo di gustare un’edizione godibilissima, ma in tedesco, nel dicembre 2008 alla Komische Oper di Berlino dove viene ripresa per una dozzina di repliche ogni anno da circa quattro lustri.  Ricordo una co-produzione recente del Festival di Aix en Provence e del Real di Madrid che ha girato mezza Europa, ma non si è vista in Italia.
E’ approdata alla Scala solo nel 1947, mentre aveva debuttato, con enorme successo a Chicago nel 1921, ed era stata concepita nel 1917-18, prima che l’autore scappasse dalla Russia rivoluzionaria alla volta degli Usa, facendo un viaggio complesso: transiberiana sino a Vladivostock, transatlantico sino alla Baia di Tokyo, e di nuovo transatlantico sino a San Francisco, da dove in treno a New York. Tra tanti viaggi, il testo si perse e venne riscritto in francese quando, dopo altre traversie, debuttò a Chicago.

Il compositore era giovane (classe 1891) ma aveva al suo attivo già molti lavori di cui un’opera, ‘Il Giocatore’, in cui metteva in berlina la decadente società zarista. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi dovrebbe correre a Firenze a vedere ‘L’Amour des Trois Oranges’ non solo perché è l’ultima produzione nel glorioso Teatro Comunale, in procinto di essere ristrutturato (per farne un albergo o appartamenti) mentre sinfonica e lirica andranno nel nuovo teatro costruito accanto alla Leopolda. Ma perché, frizzante come uno champagne di grande qualità, sotto le vesti di una fiaba scombinata e dadaista (tratta da Carlo Gozzi), mostra il processo di evoluzione di un giovane principe alla piena maturità e fornisce indicazioni su come rottamare le classi dirigenti che hanno portato l’Europa alla Grande Guerra, senza risparmiare da ironia e sarcasmo i rivoluzionari bolscevichi, nonché, ovviamente, il realismo socialista, il verismo, il postwagnerismo e lo stesso melodramma italiano. 

 Il libretto è una satira pungente, del potere e dei sicofanti (specialmente gli intellettuali) che lo contornano. Una ragione in più perché i suoi 11 quadri e trenta personaggi valgano due ore del Presidente del Consiglio. Renzi si divertirà perché
Prokofie’v si era proposto di creare un teatro in musica basato su fantasia, ironia, azione e divertimento, tale da poter gareggiare (presso il pubblico) con i film di Charlie Chaplin e dei Fratelli Max. Quindi, un po’ futurista ed un po’ dadaista. E con un ritmo molto rapido (da ‘comica finale’).
Nell’allestimento fiorentino (che ci auguriamo venga ripreso sia in altri teatri sia nella città del Giglio), il regista sudafricano (di origini italiane) Alessandro Talevi coglie bene i due filoni principali di una favola che sembra assurda: da un lato, un percorso di formazione di un giovane ipocondriaco sino al matrimonio ed alla creazione di una famiglia; da un altro, una satira spietata delle classi dirigenti. Giovane anche il direttore d’orchestra Juraj Valcuha. Ha il difficile compito di dirigere, da un lato, un’orchestra di dimensioni quasi wagneriane dove su un tappeto sinfonico si inseriscono il jazz, la musica afro-cubana, melodie popolari russe  e, da un altro, tenere un buon  equilibrio con un palcoscenico dove in due ore si succedono (in 11 quadri) avventure strampalate con ben 26 cantanti in grado di recitare , danzare, fare piroette e dare prova di atletismo. Giovane, quindi, anche gran parte del cast in cui alcuni (ad esempio, Lois Félix nel ruolo di Truffaldino e Jonathan Boyd in quello del Principe) devono effettuare acrobazie mentre cantano. Ci sono, però, anche nomi gloriosi (Julia Gersteva, Anna Shafajinskaia) che è bello rivedere e riascoltare, a fine carriera, in ruoli solo all’apparenza minori.

La sera della prima, due ore di risate ed un quarto d’ora d’ovazioni.


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