lunedì 2 giugno 2014

I dolori del giovane Thomas Piketty in Formiche primo giugno



I dolori del giovane Thomas Piketty
01 - 06 - 2014Giuseppe Pennisi I dolori del giovane Thomas Piketty
Thomas Piketty è un giovane uomo fortunato: a 42 anni dirige una delle più importanti istituzioni di alta formazione e ricerca di Francia ed il suo libro Capitalism in the Twentieth First Century è da mesi il più venduto ed il più letto al mondo. Inoltre, è uomo di garbo, bella presenza e con cui è piacevole parlare. Non è, però, necessariamente una persona felice.
Non tanto perché le sue settecento pagine hanno “sfondato” grazie alla mirabile traduzione in inglese; in Francia il loro mercato era la gauche au caviar (la sinistra che si dà appuntamento alla Brasserie Lipp e, prima del porcele au lait, gusta aperitivi a base di champagne e caviale). Neanche perché alcuni fanatici dei numeri si sono accorti di errori nelle statistiche su cui basa la sua tesi di una politica redistributiva a livello mondiale. Ma perché, in fondo al cuore, sa che, prima di lui, Marx, Malthus e Ricardo avevano sostenuto che il capitalismo sarebbe imploso a ragione di crescenti disuguaglianze ed erano stati smentiti non solo dai fatti, ma soprattutto da errori concettuali di sistema.
Nelle due ultime settimane di maggio, in una serie di seminari alla Terza Università d Roma, Giorgio La Malfa ha correttamente rivendicato che il merito di Keynes non è stato quello di come e quando stimolare la domanda aggregata (in caso di esigenza) ma quello d’avere compreso il duplice errore di sistema di Marx, Malthus, Ricardo e degli altri economisti “classici”: avere proiettato all’infinito tendenze di breve e medio periodo e non avere tenuto conto del ruolo dell’intervento pubblico e del progresso tecnologico nel correggerle. Sono gli stessi errori di Thomas Piketty – e che 45 anni fa aveva commesso il Club di Roma nel profetizzare che entro l’inizio del secolo in corso il mondo sarebbe imploso per mancanza di energia e a ragione della  crescita demografica (e conseguenti bocche da sfamare).
In altre sedi sono state discusse alcune “sviste” statistiche di Piketty, a cui l’economista ha risposto in modo non del tutto convincente. Non credo valga la pena soffermarsi su chi ha ragione e chi ha torto in queste sviste. Sono al più analoghe a quelle dei dati di Reinhart e Rogoff in materia di asticella oltre la quale lo stock di debito pubblico frena il Pil ; l’argomento di base resta valido anche se l’asticella deve essere posta più in alto od il freno è meno brusco.
Il nodo centrale dell’analisi e soprattutto delle conclusioni di Piketty è che il capitalismo imploderà perché i rendimenti della ricchezza saranno sempre superiori al tasso di crescita dell’economia reale, l’equazione ‘r>g’ (i rendimenti da capitali sono maggiori del tasso di crescita del PIL reale) derivata non da un ragionamento teorico ma da un’analisi empirica di dati per un campione di Paesi dell’Europa Occidentale e degli Stati Uniti.
Gli stessi dati mostrano, però, un aumento delle diseguaglianze negli ultimi vent’anni dopo una loro riduzione secolare grazie in gran misura all’intervento dello Stato (regolazione delle concentrazioni di ricchezza, imposizione tributaria, trasferimenti ai ceti più deboli) ed al progresso tecnologico. Piketty proietta l’aumento nel futuro e prevede che nel 2030-2040 negli Usa, il dieci per cento più abbiente della popolazione avrà il  60% reddito (grazie al controllo della ricchezza) e il cinquanta percento meno favorito solo il 15%, rispetto al 50% ed al 20% nel 2010. La situazione sarà relativamente migliore in Europa, soprattutto in Scandinavia dove c’è una radicata cultura redistributiva. Al pari di Marx, Malthus e Ricardo non tiene conto né di cambiamenti di approccio della mano pubblica né del progresso tecnologico né della constatazione che in altre parti del mondo (Asia, Africa,America Latina) negli ultimi vent’anni un miliardo e mezzo di persone sono uscite della povertà assoluta e la distribuzione del reddito è migliorata né di quanto avvenuto proprio negli Stati Uniti ed in Europa nel secolo e mezzo precedente il 1990 o giù di lì.
E’ poco scientifico, e per nulla professionale, proiettare all’infinito una tendenza di medio periodo, ipotizzando che la politica economica abbia come unico strumento d’intervento un’imposta patrimoniale mondiale. Vuole anche dire tacciare d’insipienza il governo Obama (di cui dice di essere  sostenitore) e la leader della sinistra francese, nonché attuale Ministro dell’Ecologia, Ségolène Royal, di cui è consigliere economico.
Quel che è più grave è che Piketty lo sa. E tace in tristezza.
Ne tengano conto quei consiglieri del Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi che dicono d’ispirarsi al suo maxitomo.

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