I dolori del
giovane Thomas Piketty
Thomas Piketty è un giovane uomo fortunato: a 42 anni dirige una
delle più importanti istituzioni di alta formazione e ricerca di Francia ed il
suo libro Capitalism in the Twentieth First Century è da mesi
il più venduto ed il più letto al mondo. Inoltre, è uomo di garbo, bella
presenza e con cui è piacevole parlare. Non è, però, necessariamente una
persona felice.
Non tanto perché le sue settecento pagine hanno
“sfondato” grazie alla mirabile traduzione in inglese; in Francia il loro
mercato era la gauche au caviar (la sinistra che si dà
appuntamento alla Brasserie Lipp e, prima del porcele
au lait, gusta aperitivi a base di champagne e caviale). Neanche
perché alcuni fanatici dei numeri si sono accorti di errori nelle statistiche
su cui basa la sua tesi di una politica redistributiva a livello mondiale. Ma
perché, in fondo al cuore, sa che, prima di lui, Marx, Malthus e Ricardo
avevano sostenuto che il capitalismo sarebbe imploso a ragione di crescenti
disuguaglianze ed erano stati smentiti non solo dai fatti, ma soprattutto da
errori concettuali di sistema.
Nelle due ultime settimane di maggio, in una serie di
seminari alla Terza Università d Roma, Giorgio La Malfa ha correttamente
rivendicato che il merito di Keynes non è stato quello di come e quando
stimolare la domanda aggregata (in caso di esigenza) ma quello d’avere compreso
il duplice errore di sistema di Marx, Malthus, Ricardo e degli altri economisti
“classici”: avere proiettato all’infinito tendenze di breve e medio periodo e
non avere tenuto conto del ruolo dell’intervento pubblico e del progresso
tecnologico nel correggerle. Sono gli stessi errori di Thomas Piketty –
e che 45 anni fa aveva commesso il Club di Roma nel profetizzare che entro
l’inizio del secolo in corso il mondo sarebbe imploso per mancanza di energia e
a ragione della crescita demografica (e conseguenti bocche da sfamare).
In altre sedi sono state discusse alcune “sviste”
statistiche di Piketty, a cui l’economista ha risposto in modo non del tutto
convincente. Non credo valga la pena soffermarsi su chi ha ragione e chi ha
torto in queste sviste. Sono al più analoghe a quelle dei dati di Reinhart e
Rogoff in materia di asticella oltre la quale lo stock di debito pubblico frena
il Pil ; l’argomento di base resta valido anche se l’asticella deve essere
posta più in alto od il freno è meno brusco.
Il nodo centrale dell’analisi e soprattutto delle
conclusioni di Piketty è che il capitalismo imploderà perché i rendimenti della
ricchezza saranno sempre superiori al tasso di crescita
dell’economia reale, l’equazione ‘r>g’ (i rendimenti da capitali sono
maggiori del tasso di crescita del PIL reale) derivata non da un ragionamento
teorico ma da un’analisi empirica di dati per un campione di Paesi dell’Europa
Occidentale e degli Stati Uniti.
Gli stessi dati mostrano, però, un aumento delle
diseguaglianze negli ultimi vent’anni dopo una loro riduzione secolare grazie
in gran misura all’intervento dello Stato (regolazione delle concentrazioni di
ricchezza, imposizione tributaria, trasferimenti ai ceti più deboli) ed al
progresso tecnologico. Piketty proietta l’aumento nel futuro e prevede che nel
2030-2040 negli Usa, il dieci per cento più abbiente della popolazione avrà
il 60% reddito (grazie al controllo della ricchezza) e il cinquanta
percento meno favorito solo il 15%, rispetto al 50% ed al 20% nel 2010. La
situazione sarà relativamente migliore in Europa, soprattutto in Scandinavia
dove c’è una radicata cultura redistributiva. Al pari di Marx, Malthus e
Ricardo non tiene conto né di cambiamenti di approccio della mano pubblica né
del progresso tecnologico né della constatazione che in altre parti del mondo
(Asia, Africa,America Latina) negli ultimi vent’anni un miliardo e mezzo di
persone sono uscite della povertà assoluta e la distribuzione del reddito è migliorata
né di quanto avvenuto proprio negli Stati Uniti ed in Europa nel secolo e mezzo
precedente il 1990 o giù di lì.
E’ poco scientifico, e per nulla professionale,
proiettare all’infinito una tendenza di medio periodo, ipotizzando che la
politica economica abbia come unico strumento d’intervento un’imposta
patrimoniale mondiale. Vuole anche dire tacciare d’insipienza il governo Obama
(di cui dice di essere sostenitore) e la leader della sinistra francese,
nonché attuale Ministro dell’Ecologia, Ségolène Royal, di cui è
consigliere economico.
Quel che è più grave è che Piketty lo sa. E tace in
tristezza.
Ne tengano conto quei consiglieri del Presidente del
Consiglio italiano Matteo Renzi che dicono d’ispirarsi al suo maxitomo.
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