Perché il referendum contro il Fiscal Compact è cosa buona e giusta
16 - 06 - 2014Giuseppe Pennisi
Il significato politico del referendum e i recenti, preoccupanti,
moniti del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale olandese
Credo sia importante chiarire alcuni punti di quello che viene,
giornalisticamente chiamato, il referendum per abrogare
il Fiscal Compact.
In primo luogo, allo stato della vigente normativa costituzionale
dato che il Fiscal Compact è un accodo
intergovernativo, assimilabile a un trattato (che è stato ratificato da 12
Stati dell’Unione Europea prima dell’entrata in vigore) non può essere soggetto
a referendum abrogativo ai sensi dell’art. 75 della Costituzione, che non
ammette tale strumento di democrazia diretta per le leggi tributarie e
di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati
internazionali.
Occorre porre questo articolo della Costituzione nel contesto
storico in cui venne redatto e approvato. Si temevano referendum contro tasse e
imposte che avrebbero sfasciato le finanze pubbliche (ma ci si è peritati di
interpretare in modo molto lasco l’art. 81 della Costituzione sulle coperture
di bilancio). Si pensava ad amnistie e indulti che avrebbe aperto le carceri a
delinquenza comune – magari sulla spinta di mafia, camorra, e ndrangheta.
Soprattutto, le feluche temevano di perdere un ruolo che comunque non avevano
più se si fosse messa in discussione quella “diplomazia segreta” che
rappresentava l’essenza del loro lavoro. Oggi gran parte di queste motivazioni
non reggono. Anzi, il governo Renzi farebbe bene a proporre la soppressione
dell’art. 75 della Costituzione o una sua drastica riscrittura.
La proposta di referendum, quindi, non riguarda il Fiscal
Compact ma aspetti specifici della legge 243 del 2013, la quale dà
attuazione al principio del pareggio di bilancio recentemente introdotto nella
Costituzione (con la legge costituzionale n. 1 del 2012). Tuttavia, il
significato politico del referendum è molto chiaro: si tratta di chiedere ai
cittadini di esprimersi finalmente sull’intero sentiero di austerità previsto
dal Fiscal Compact per la politica economica italiana
nei prossimi vent’anni.
Sono impegni che tecnicamente non possono essere
rispettati, a meno di volere trascinare il Paese in una prolungata recessione
dagli effetti sociali devastanti. Il Trattato di Maastricht,
prima, e il Fiscal Compact, poi, redatti d’impulso in un
contesto di preoccupazione per i nuovi scenari che si aprivano dopo
l’unificazione tedesca, prevedono clausole che potrebbero far naufragare il
progetto d’integrazione europea.
Lo hanno scritto economisti di ogni scuola negli Anni Novanta,
quando tenni su questi temi una rubrica quotidiana in materia su Il
Foglio. Per chi vuole aggiornarsi, legga il libro appena uscito L’Europa
Tradita di Giuseppe
Di Taranto (Luiss University Press, 2014 pp.88, € 14), un
lavoro snello ma esauriente con proposte specifiche a breve e medio termine su
come uscire dall’impasse. Anche se non condivido tutte le proposte, lo
raccomando come lettura snella e chiarissima per orientarsi in una materia dove
domina il tecnicismo.
Dovrebbe essere studiato soprattutto dalla squadra che sta
aiutando il Presidente del Consiglio nei molteplici compiti che prevede la
presidenza degli organi di governo dell’Unione Europea (UE) nel semestre che inizia
l’ormai imminente primo luglio.
Il quadro si presenta meno positivo di quello che pareva
all’indomani delle elezioni europee quando, sull’onda del forte consenso alla
urne, si pensava di poter concludere un “patto politico” su flessibilità
(nell’applicazione dei vincoli europei) in cambio delle riforme istituzionali.
Non solamente il percorso delle riforme istituzionali appare impervio e in
salita, ma – quel che più grave – il 12 giugno il Fondo monetario ed il 16
giugno la Banca centrale olandese hanno stilato documenti tecnici secondo i
quali Italia e Spagna hanno superato la Grecia tra i Paesi dell’eurozona da cui
potrebbe partire un virus contagioso nel sistema bancario e finanziario nel
resto dell’area.
Non sono certo segnali incoraggianti. Suggerire alla stampa di
“non farci caso” equivale a mettere la testa sotto la sabbia.
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