La ricreazione è stata molto breve. Poco più di dieci anni, il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Pier Lugi Ciocca, pubblicava una raccolta di saggi nata nelle stanze del servizio studi dell’istituto; il libro aveva un titolo eloquente “Disoccupazione di fine secolo” – allora infatti si temeva che Governi e parti sociali non avessero più gli strumenti per frenare quella che sembrava essere un’inarrestabile ascesa della disoccupazione in quasi tutte le aree del mondo. Nel primo scorcio del 2007,il quadro sembrava fortunatamente cambiato. Un quotidiano francese tradizionale a sinistra del centro ha dedicato un numero speciale a “La fine della disoccupazione di massa”. Le cifre parlavano chiaro. In primo luogo, nella primavera 2007 (ossia appena due anni fa), in Europa (tanto la zona dell’euro quanto l’insieme dell’Ue a 27), il numero di coloro alla ricerca di lavoro (nel lessico giornalistico il tasso di disoccupazione) era sceso al 7,1% delle forze di lavoro (due punti percentuali in meno rispetto a quanto segnato due anni fa). L’Italia era entrata a buon diritto tra i Paesi con un tasso di disoccupazione moderato (il 6,2% a livello nazionale ma concentrato nel Mezzogiorno e nei bacini a riconversione industriale nel Centro-Nord). In Francia, il tasso di disoccupazione era ancora l’8,6% della forza lavoro, ma, per la prima in 25 anni, è sceso, in termini assoluti, al di sotto di due milioni di uomini e donne. La Polonia e l’Estonia contavano, nell’Ue, tassi di disoccupazione più alti di quello della Francia. Ancora maggiore il successo segnato in Germania: si era passati dai 5 milioni di disoccupati nell’aprile 2005 ai 3,7 all’ultima rilevazione: Oltre-Reno la disoccupazione diminuiva, senza cessa, ogni mese da 15 mesi. Quindi, né le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione né il processo di integrazione economica internazionale aveva creato, in Europa, quella disoccupazione di massa, senza alternative concrete di politica economica ed industriale, temuta dieci anni prima . Non era tutto oro – è vero - ciò che luccicava. L’Employment Outlook dell’Ocse pubblicato a fine giugno 2007 sottolinea che a partire dal 1995 sono aumentate in misura considerevole le differenze salariali (specialmente se computate sulla base del netto in busta paga). Per questo motivo, c’era (e c’è) un crescente interesse (anche in Italia) nella “flexsecurity” : lavoratori e sindacati dovrebbero essere pronti a rinunciare alla sicurezza nel posto di lavoro specifico per una maggiore sicurezza nel mercato del lavoro in generale accompagnata da ammortizzatori e passerelle per transitare da un impiego all’altro. Tuttavia, è sempre l’Employment Outlook dell’Ocse a ricordare come “un’altra strada possibile consiste nel rendere più flessibili le normative sul lavoro”.
In terzo luogo, non è soltanto l’Ocse ma anche l’esclusivo (il numero dei soci non può superare 30 e devono essere tutti accademici di rango) Cercle des Economistes francese (un circolo – occorre rammentarlo – in generale a sinistra del centro) a riconoscere come l’allontanamento dello spettro della disoccupazione di massa debba attribuirsi alle riforme in senso liberale del mercato del lavoro. Quelle già fatte in Italia ed in Germania. Quelle di cui la Francia ha mutuato alcuni istituti (quali il contratto di primo impiego) tre anni fa e che il nuovo Esecutivo si appresta ad estendere ed approfondire con una normativa di urgenza che dovrebbe essere varata prima delle vacanze estive dell’Assemblea Nazionale. Un sindacato vasto ed intelligence come Force Ouvrière ha concluso il 29 giugno 2007, a Lilla, il proprio 21simo congresso chiedendo, in pratica, l’abolizione di quel resta delle pensioni di anzianità e di misure per favorire l’occupazione e dei più giovani e dei più anziani.
Ho preso la primavera-estate 2007 come termine di riferimento perché allora si cominciavano ad avvertire anche sulla stampa quotidiana italiana i primi segni della crisi finanziaria. L’economista americano Nouriel Roubini ne aveva tratteggiato le prospettive sin dall’inizio del 2006. Distintamente sia il vostro “chroniqueur” sia Mario Sarcinelli già nell’estate 2006 avevano scritto, su quotidiani economici e finanziari, articoli (non graditi) sulle prospettive negative della finanza strutturata a g-go-go e sui rischi dell’esplosione della bolla; il vostro “chroniqueur” , inascoltato dai colleghi, ha allora modificato drasticamente il proprio portafoglio mobiliare con il risultato che dal primo gennaio 2008 la valorizzazione dei suoi titoli ha subito una perdita netta unicamente del 5%.
Dall’estate 2007 alla primavera 2009, tutto è cambiato. La bolla è finanziaria è esplosa (ed i valori mobiliari hanno subito perdite superiori al 50%). Gli istituti finanziari non si fidano gli uni degli altri con la conseguenza di forti restrizioni del credito (nonostante i passi fatti da Governi e da banche centrali per immettere liquidità ed indirizzarla non nei forzieri delle banche ma verso imprese e famiglia). E’ in atto un forte rallentamento dell’economia reale; secondo le stime pubblicate il 14 marzo dai 20 maggiori istituti econometrici mondiali , nell’anno in corso, il Giappone subirà una contrazione del 5%, l’area dell’euro del 2,4%, gli Usa del 2,2%. Poco incoraggianti le prospettive per il 2010: la ripresa si avrebbe unicamente nell’ultimo trimestre. Tragico il quadro dei Paesi in via di sviluppo – Africa in primo luogo. Su questo quadro, si staglia di nuovo lo spettro della disoccupazione di massa- e di lunga durata. Dopo una crisi tanto profonda, le imprese saranno restie a fare nuove assunzioni sino a quando la ripresa non sarà solida e ci saranno nuove certezze sul presente e sul futuro dell’economia mondiale. Un’analisi dell’Economist Intellegence Unit prevede che entro la fine del 2010 , il tasso di disoccupazione nei Paesi Ocse sarà superiore al 10% - con un aumento di coloro che cercano lavoro senza trovarlo del 25% circa.
Quale la risposta della politica? Per il momento, Governi e parti sociali guardano necessariamente all’immediato: il miglioramento degli ammortizzatori sociali (tenendo conto dei vincoli di bilancio e di evitare sussidi che inducano a comportamenti scorretti da parte di imprese e/o di lavoratori – licenziamento seguito da lavoro “al nero”). La sfida effettiva, però, riguarda l’allestimento di politica di medio e lungo termine in quanto il nodo della “nuova disoccupazione di massa” appare protratto nel tempo e sarà, inoltre, intrecciato con quello di una modifica
probabilmente profonda delle richieste professionali da parte di un mercato del lavoro che verosimilmente rispecchierà una struttura produttività maggiormente orientata alla produzioni di beni e servizi reali piuttosto che di prodotti finanziari. La sfida sarà nel trovare il mix appropriato di politiche d’espansione della domanda aggregata (e, quindi d’occupazione), di riqualificazione professionale e di flessibilità in entrata ed uscita. Si dovranno a questo proposito ripensare le politiche legislazione che, anche in via preterintenzionale, hanno frammentato il mercato del lavoro tra chi fruisce di rapporti a tempo indeterminato e chi invece pare condannato ad un limbo di varie tipologie di precarietà.
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