lunedì 2 marzo 2009

QUANTO CI E' VICINO L'AMOUR DE LOIN Il Velino 2 marzo

Nonostante il difficile momento che il Teatro dell'Opera di Roma (di cui abbiamo trattato ne Il Velino del 27 febbraio) sta attraversando , l'Orchestra della Fondazione ha presentato il 28 febbraio, fuori abbonamento, uno dei concerti più interessanti della stagione non solamente per il merito dell'esecuzione e per i contenuti del programma ma anche in quanto consente di riaprire un dibattito già affrontato da Il Velino a metà gennaio in occasione della prima, e sino ad ora unica, rappresentazione di “Freud, Freud, I Love You” opera da camera di Luca Mosca, su libretto di Gianluigi Melega. Quale è lo stato del teatro d'opera contemporaneo, specialmente in Italia dove “la musa bizzarra ed altera” è nata (poco più di 400 anni fa) ed ha avuto i suoi maggiori momenti di successo anche commerciale, nella Venezia del Cinquecento ed in tutta la Penisola dalla fine del Settecento ai primi decenni del Novecento?
Il concerto – occorre precisarlo – non è stato presentato in una delle tre sedi consuete della Fondazione (il Teatro Costanzi, il Teatro Nazionale e, l'estate, le Terme di Caracalla), ma nell'Aula Magna dell'Università “La Sapienza” (un magnifico auditorium con acustica perfetta ed un superbo murale di Sironi) nell'ambito di una collaborazione con l'Istituzione Universitaria dei Concerrti (IUC) in atto ormai da anni. In pratica, il palcoscenico del Costanzi era occupato dalle prove della “Iphigenie en Aulide” di Gluck che verrà diretta da Riccardo Muti, nella capitale, nella seconda metà del mese. Tuttavia, l'Aula Magna de “La Sapienza” era particolarmente adatta poiché l'IUC ha un cartellone che pone l'accento sulla musica contemporanea, come s'addice ad un'istituzione frequentata da giovani e che pratica una politica di bassi prezzi.
Il concerto era diviso in due parti- due composizioni tra le quali c'è quasi un secolo esatto di distanza: Cinq Reflets sur l'Amour de Loin di Kaija Saariaho e la Quinta Sinfonia di Gustav Mahler . Elemento unificante è il tema dei due lavori : il viaggio dell'amore oltre la morte. Ha diretto una delle più prestigiose bacchette internazionali: Kazushi Ono, ora direttore musicale de l'Opéra National de Lyon.
La Quinta di Mahler è notissima, anche se il grande pubblico la conosce principalmente per l'”adagietto” preso in prestito da Luchino Visconti per una dei suoi film di maggiore successo (“Morte a Venezia”). Sarebbe pleonastico dire che , con un direttore della stazza di Ono (o di quella di Muti), l'orchestra produce un suono più avvincente di quello che si ascolta di solito in teatro.
Il vostro chroniquer ritiene più interessante, per i lettori de Il Velino, soffermarsi sulla prima per l'Italia del lavoro di Kaija Saariaho, una delle più note compositrici finlandesi (anche se di scuola francese – fondamentale la sua esperienza all'IRCAM (Istitut de Recherce e Coordination Acoustique/Musique). I Cinq Reflets sono una versione abbreviata, per sala da concerto, di un'opera commissionata dal Festival di Salisburgo (“L'Amour de Loin”), dove è andata in scena nel 2000, con la regia di Peter Sellars ed è stata acclamata come la migliore composizione di teatro in musica dell'anno. In questi nove anni è stata replicata o ripresa in numerosi teatri dell'Europa e del Nord America; un nuovo allestimento è in programma a Londra, all'English National Opera, l'anno prossimo. Il pubblico italiano (o meglio romano) si deve accontentare di un “Bignami”: cinque leader (di cui due a due voci) per soprano (una magnifica Caroline Stein di cui alcuni ricorderanno il successo, lo scorso autunno, in “Water Passion” di Tan Dun rappresentata alla Sagra Malatestiana; un superbo baritono, Otto Katzaneier, grande interprete di una delle più importanti opere di Berio, “Un Re in Ascolto”). Un “Bignami” succulento, che fa venire appetito perché prima o poi si possa avere una messa in scena intera dell'opera.
Su libretto dello scrittore franco-libanese Amin Maalouf (Premio Goncourt del 1993), l'opera è tratta da un poema di un trovatore (Jauffré Roudel) del XII secolo; tratta dell'amore, corrisposto, per una donna che non ha mai visto e con cui ha solo un rapporto epistolare (con i tempi ed i modi del XII secolo). Quando decide di mettersi in viaggio e di traversare il Mediterraneo per incontrarla, si ammala mortalmente e giunge a destinazione unicamente in tempo per morirle tra le braccia prima che lei decida di entrare in convento. Una vicenda – potrebbe sembrare- distinta e distante dal nostro tempo. Eppure, grazie agli affascinanti versi di Maalouf ed alla ricca partitura di Saariaho (basata su un grande organico orchestrale e su un declamato vocale che scivola in ariosi) viene ritenuta accattivante proprio dal pubblico più giovane. Molto interessanti la scrittura sia orchestrale sia vocale: è contemporaneità assoluta, senza cedimenti a tentazioni neoromantica come quelle di Marco Betta e di Luca Mosca. Ed è una contemporaneità che il pubblico apprezza e gradisce, come dimostrato, tra l'altro, da coloro che anche da Roma sono andati alcune settimane fa a Bolzano ed a Merano per ascoltare quel gioiello di “Julie” di Philippe Boesman, che proprio Kazushi Ono ha tenuto a battesimo alcuni tre anni fa a La Monnaie di Bruxelles ed al Jeu de Pomme di Aix en Provence , facendole iniziare un percorso che lo ho portato in tutta Europa (e non solo).
Il tema è importante: se l'opera italiana contemporanea continua a baloccarsi con rimasticature di ciò che piaceva ai nostri nonni, è destinata a sparire. Attenzione: non mancano autori e lavori di spessore. Perché “The Banquet” di Marcello Panni o “Le Parole al Buio” di Paolo Furlan non hanno trovato nessuno con il coraggio di rimetterle in pista (nonostante il successo della prima rappresentazione e della prima tornata di repliche)?

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