sabato 21 marzo 2009

FREUD, FREUD I LOVE YOU Musica marzo

MOSCA Freud, Freud, I Love you. A. Caiello, L. Petroni, R. Abbondanza, L. Lojodice Ensemble Algoritmo direttore Marco Angius Regia Piero Maccarelli, Costumi Guillermo Mariotto (per Gattinoni) luci Umile Vanieri
Roma, Accademia Filarmonica, Teatro Olimpico 15 gennaio.

Una nuova commissione di un’opera italiana è un atto di coraggio, specialmente se il committente non è una delle maggiori Fondazioni Liriche ma un’Accademia d’antiche tradizioni, creata all’inizio del XIX secolo da un gruppo di aristocratici anche allo scopo di mettere in scena, opere che sarebbero state vietate dalla censura papalina. “Freud, Freud, I Love You”, su libretto di Gianluigi Melega, è un’opera da camera che richiede un piccolo organico, tre cantanti, un mimo e dura circa 40 minuti. Il libretto, volutamente ironico, tratta della passione d’Oskar Kokoschka per Alma Mahler e di come il pittore, in grave crisi psicologica, ricorra alle cure di Freud, senza però trarne gran beneficio. Lo “scherzo musicale” ha una premessa: “Bergasse 19, Una Serata in Casa Freud” (tra le due parti non c’è soluzione di continuità o intervallo) in cui s’immagina una soirée musicale privata nella Vienna della “secessione”: tre piccoli pezzi per violoncello e pianoforte ed i quattro pezzi per violino e pianoforte di Anton Webern, i quattro Lieder di Alma Mahler, i cinque Rückert Lieder di Gustav Mahler ed i quattro pezzi per clarinetto e pianoforte di Alban Berg.
Il pregio principale della produzione è come lo “scherzo” s’inserisce nel concerto da camera che lo precede. In effetti, l’ascoltatore scivola dal concerto allo “scherzo” quasi senza accorgersi che si è quasi ad un secolo di distanza. Mosca, però, non rifà solamente il verso alla complessa ed elegante scrittura della Vienna della secessione, ma v’ironizza, specialmente nella parte vocale in cui arie, duetti e terzetti (poco il declamato) sono un vero e proprio gioco tra due secoli. Semplice, ma efficace la regia e l’allestimento scenico (agevolmente trasferibile in altri teatri). Eccellente l’Ensemble. Buone le tre voci, tra cui spicca quella di Roberto Abbondanza.
Il difetto del lavoro è nel suo carattere intellettualistico: la “nuova opera” italiana, specialmente quella da camera, ha disperatamente bisogno di librettisti e compositori in grado d’indurre il pubblico pagante ad andare a teatro. Ci sono stati tentativi interessanti nell’ultimo decennio. “Freud, Freud, I Love You” non è tra questi: resta un divertissiment per pochi “addetti ai lavori”

Giuseppe Pennisi

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