DA’ PENSIERO LA SUA POLITICA ECONOMICA. ANCHE AGLI AMERICANI
Robert Kuttner è un saggista americano di successo ed un sostenitore convinto dell’attuale Amministrazione Usa; uno dei suoi ultimi libri chiama quella di Barack Obama “the Transformative Presidency” – ossia la Presidenza che ha il compito, e le potenzialità, di trasformare gli Stati Uniti – ed il resto del mondo. Kuttmer afferma, non senza una punta di verità, che l’attuale crisi non deve essere assimilata alla “Grande Depressione”; è qualcosa di più e di differente da denominare “Il Grande Crollo”. Occorre chiedersi se, dato che, prima di darsi alla saggistica, è stato, per vent’anni, redattore di Business Week ha esaminato come la Borsa ha accolto i primi passi della Presidenza Obama. Barack avrebbe voluto ispirarsi a Roosevelt. Nei primi 54 giorni dell’Amministrazione che fece uscire gli Usa dalla Depressione degli Anni Trenta, il Dow Jones ha segnato un aumento del 35%. Nello stesso periodo della Presidenza Obama ha, invece, segnato un’ulteriore riduzione del 16% rispetto ai livelli tombali che aveva quando Barack e famiglia sono diventati i nuovi inquilini della Casa Bianca.
Potrebbe essere considerato quasi fisiologico che non piaccia alla Borsa un Presidente la cui campagna elettorale è stata molto ideologicamente improntata a sinistra (anche se, una volta vinte le presidenziali, ha scelto i propri collaboratori principalmente tra personalità considerata di centro). Tuttavia, non è solamente il mercato mobiliare a preoccupare gli americani ma anche e soprattutto l’aumento della disoccupazione (attorno all’8% della forza lavoro in febbraio e probabilmente oltre il 10% prima della fine dell’anno). E, con il tasso di disoccupazione in espansione a macchia d’olio, le notizie sempre più inquietanti sull’andamento del settore dei servizi finanziari (banche, assicurazioni), della metalmeccanica ed anche dell’elettronica e dell’informatica.
Ciò che più da pensiero è la mancanza di una chiara politica economica. Sino ad ora le uniche misure adottate riguardano l’espansione della liquidità (che, però, dalle banche non arriva alle famiglie ed alle imprese) e del disavanzo dei conti federali (dal 3-4% del pil negli ultimi anni ad oltre il 12% nel bilancio di previsione per l’anno in corso). In aggiunta, nelle riunioni internazionali le delegazioni Usa insistono perché anche l’Europa mandi a briglia sciolta l’offerta di moneta ed il deficit pubblico. In un mondo che ristagna, e verosimilmente, si sta contraendo, una politica espansionista sembra sensata (pur se ha il germe di un’ondata inflazionistica). Tuttavia, non basta pompare moneta e aumentare il disavanzo tra uscite ed entrate. L’infusione di liquidità ed il deficit dei conti pubblici devono servire ad alimentare investimenti e consumi. Non solamente gli intermediari finanziari non allentano i loro crediti, ma il 90% della manovra di 787 miliardi di dollari appena varata – ne sarebbe in preparazione un’altra aggiuntiva di 750 miliardi di dollari – è diretto al sociale con finalità indubbiamente nobili di fornire ammortizzatori ma non tali da incidere , almeno nel breve periodo, sulla crescita. In una situazione, poi, di forte squilibrio strutturale dei conti con l’estero degli Usa una strategia di questa natura rischia di aggravare lo sorti dei vicini (specialmente degli europei) con un ulteriore deprezzamento del dollaro Usa e con un futura ventata d’inflazione preveniente da oltre-atlantico, senza tirare gli americani fuori dal “Grande Crollo”.
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