Dopo avere assistito alla “prima” di “Iphigénie en Aulide” di Christoph Willibad Gluck (suo maestro di canto a Vienna) il 19 aprile 1774 all’Académie Royale de Musique, Maria Antonietta, Delfina di Francia, scrisse una lettera entusiasta alla sorella Maria Cristina Joseph:”Ne fui rapita ed ormai non si parla d’altro…..tutte le teste sono in ebollizione.a Corte vi sono parteggiamenti , in città la diatriba sembra ancora maggiore”. La futura Regina di Francia (che quasi venti anni dopo, sarebbe ascesa al patibolo) non si rese conto quanto “rivoluzionario” fosse il contenuto del lavoro dell’allora sessantenne compositore: prendeva nettamente le distanze sia dall’opera italiana (che a Parigi aveva un partito guidato da J-J- Rousseau) sia dalla “tragédie-opéra” francese (di cui il maggior esponente era l’ottantenne J-Ph. Rameau): era una “tragédie mise en musique”, tratta da Racine, in cui una struttura drammatica e musicale tersa non lasciavano spazio ad inutili abbellimenti (fioriture canore, balletti) per andare all’essenziale scavando nella psicologia dei personaggi, così come nella tragedia greca (d’Euripide) a cui si ispira. La musica non era un contrappunto della voce; parole ed orchestra si integravano in un sinfonismo continuo. Lo comprese bene, qualche decennio più tardi, il più rivoluzionario (anche politicamente) dei compositori dell’Ottocento, Richard Wagner, il quale, giovane direttore musicale dell’opera di Dresda, riprese in mano la partitura e soprattutto sostituì il “lieto fine” , obbligatorio nella Francia pre-rivoluzionaria, con un finale ambiguo che avrebbe fatto da ponte con l’ancora più “rivoluzionaria” “Iphigénie en Tuaride” (sempre ispirata ad Euripide) che Gluck avrebbe messo in scena nel maggio 1779, mentre si udivano i primi rulli di tamburo.
“Iphigénie en Aulide” è al Teatro dell’Opera di Roma dal 17 al 29 marzo in un nuovo allestimento (regia,scene e costumi di Yannis Kokkos) che riprende molti dei concetti di quello visto alla Scala il 7 dicembre 2002 (le cui scene, però, sono state distrutte). Riccardo Muti dirige un cast giovane ed in gran misura sconosciuto in Italia. L’edizione è quella con il finale modificato da Wagner, più coerente con lo spirito complessivo del lavoro di numerose versioni discografiche in concerto. Le rappresentazioni romane di “Iphigénie” avvengono in una fase difficile per il teatro della capitale: dopo una rigorosa e severa opera di risanamento e circa dieci anni di consuntivi in pareggio od in leggero attivo, nel 2008 ha segnato un disavanzo di circa 4 milioni di euro e se ne prospetta uno di 8 per il 2009- ambedue speculari ai tagli del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) – tagli che non sarebbero stati necessario se il vertice amministrativo del dicastero avesse operato una tempestiva riallocazione da aree dove da 15 anni si accumulano residui al Fus. Si prospetta un cambiamento di gestione. L’orchestra ha richiesto a gran voce (pure con un concerto a Piazza Venezia) che Muti diventi il direttore musicale di un teatro che, secondo la stampa internazionale, presenta quest’anno la programmazione più interessante nella Penisola.
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