Uno dei problemi di fondo delle cultura musicale italiana (rispetto ad esempio ciò che avviene in Europa centrale ed orientale e negli Stati Uniti) è il livello relativamente basso dell’istruzione musicale – in pratica sparita dalle scuole generaliste di ogni ordine a grado. Ciò ha conseguenze a cascata: pullulano le iniziative da parte di associazioni locali sul territorio (“amici della musica” o simili) ma sono spesso di scarsa qualità ed hanno pochi ascoltatori; molti teatri d’opera ostentano, quasi tutte le sere in cui si fa spettacolo, file vuote in platea e nei palchi; i giovani scarseggiano alle esecuzioni di musica “colta” (tranne che in occasione di programmi dove viene praticata una politica di bassi prezzi di biglietti per attirarli; il comparto, in generale, attira molti meno finanziamenti privati di quanto non avvenga in Paesi come la Francia e la Gran Bretagna (per non parlare degli Usa), anche a ragione di una normativa che pare assumere elargizioni tributarie da parte di individui ed imprese con un’imposta marginale sul reddito del 19%, quindi nei gradini più bassi della scala dei redditi e dei consumi.
Riescono i numerosi conservatori di musica sparsi per la Penisola (cresciuti rapidamente negli ultimi anni sino a raggiungere la settantina) a sopperire in parte al problema? L’estate scorsa una frase del Ministro Mariastella Gelmini sulla esigenza di ridurne il numero e migliorarne la qualità (anche in quanto tramite una leggina sono stati elevati a istituzioni universitarie o parauniversitarie, ma molti dei loro docenti , abilissimi nei singoli strumenti, non hanno alcun titolo di studio universitario). Ci fu all’epoca una vivace polemica e (a che se ne sa) l’idea venne messa in un cassetto (a stagionare). Su molti conservatori , nell’ambiente, si raccontano storie tra il lepido e l’amaro: in un capoluogo di Regione, su 120 docenti del locale conservatorio solo due hanno un diploma di laurea; in un conservatori di provincia ben due “cattedre” di arpa; paura di bocciare , poiché se vengono a mancare gli studenti si riducono i numeri dei docenti (molti dei quali avrebbero in ogni caso un secondo od anche terzo lavoro all’insegna di San Precario – lezioni, formazioni orchestrali temporanee e simili). Nel Sud si arriva al conservatorio, spesso, dopo essere stati bocciati prima al classico, poi allo scientifico ed infine agli istituti tecnici – pur che si sappia strimpellare una chitarra o fare le scale sul pianoforte della nonna
In questo quadro, il musicologo Alessandro Zignani ha pubblicato un libro, al tempo stesso, divertente e rigoroso (“A.S.S.U.R.D.O- ricognizione paradossale nelle didattica musicale di ogni conservatorio” Editore Zecchini, Varese). E’ strutturato come un romanzo: un ispettore generale del Ministero dell’Alta Presunzione di una ipotetiche Repubblichetta va a valutare alcuni conservatori e ne trova di cotte e di crude. Non è solamente un satira esilarante e spietata ma anche un ausilio al Ministero: contiene infatti quelli che dovrebbero essere i test (a risposta multipla – con soluzione in appendice) su quelli che dovrebbero essere i “saperi” minimi per potere avere accesso all’istituto.
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