La settimana economica e finanziaria che inizia il 30 marzo è caratterizzata dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo del G20 (i maggiori Paesi industriali ad economia di mercato e quelli che sino a qualche tempo fa venivano chiamati Paesi “emergenti” e che ora, dato il peso assunto nell’economia e nella politica economica internazionale, sarebbe più opportuno denominare Paesi “emersi”). E’ giudizioso non nutrire troppe aspettative concrete sugli esiti del vertice – non preconizzare, ad esempio, che partorisca un nuovo codice internazionale e nuove procedure di vigilanza sui flussi di capitale. E’ lecito e legittimo, invece, auspicare che dal G20 provengano alcune indicazioni chiare per una strategia concertata di quelle che un tempo venivano chiamate “le grandi Potenze” per affrontare i temi di come uscire dalla crisi e quale saranno le caratteristiche dell’economia e della politica economica mondiale del “dopo-crisi”. E’ anche doveroso attendersi che l’Italia possa fare sentire la propria voce: al seminario internazionale, guidato dal Presidente della Camera Gianfranco Fini, il 25 marzo è stata presentata un’ampia documentazione di statistica economica che dimostra come tra i “grandi” dell’Emisfero Occidentale, l’Italia sia il Paese che, per le sue peculiarità economiche, ha “retto” meglio alla crisi e ne potrà uscire, se non prima degli altri, in condizioni migliori degli altri. Parallelamente, e distintamente, il fascicolo del settimanale “The Economist” (che non ha mai mostrato affinità o simpatia con i Governi italiani di centro-destra), in edicola dal 28 marzo al 3 aprile, riconosce che, sotto il profilo dei più significativi indicatori economici, l’Italia ha superato, ancora una volta, la Gran Bretagna; in aggiunta, economisti britannici di livello stanno studiando il sistema manifatturiero italiano poiché – ricordiamocelo- il Regno Unito è volutamente uscito dalla manifattura negli Anni 80 e 90 per puntare su un settore finanziario ora ridotto quasi a cumulo di macerie.
Per cogliere con mano opportunità per l’Italia occorre esaminare i rischi al tavolo del G20 e come aggirarli. I principali sono i seguenti.
• Il primo è quello del “duopolio” geopolitico e geoeconomico tra Usa e Cina. La prima visita del Segretario di Stato Usa della nuova Amministrazione Obama (Hillary Clinton) è stata a Pechino dove si è recata – ha scritto la stampa tedesca- come una penitente. Ho ottenuto la promessa che il Celeste Impero continuerà a collocare la propria liquidità in buoni del Tesoro Usa (impedendo il tracollo del dollaro) ed ha invogliato l’impegno che in futuro non meglio specificato l’economia mondiale monetaria avrà come sua ancora una “moneta virtuale” (ossia un’espansione del ruolo dei Diritti speciali di prelievo, Dsp, emessi e gestiti dal Fondo monetario). Tale duopolio (ove sorgesse) schiaccerebbe l’Europa e ridurre il ruolo potenziale dell’euro. Bruxelles non pare aver reagito. L’Italia può fare sì che gli altri Paesi dell’Ue e soprattutto quelli della moneta unica sottolineino a Londra come un duopolio del genere sarebbe contrario all’interesse generale. Anche in quanto gli Usa hanno dato prova di essere laschi in materia di regolamentazione e vigilanza finanziaria e la Cina ha molta strada da fare in materia di diritti umani e di assuefazione alle buone prassi di condotta economica internazionale.
• A Londra, l’Amministrazione Obama inviterà l’Europa ad una politica di bilancio e della moneta ancora più espansionista di quella messa in campo. Un documento riservato del Tesoro Usa per il vertice sostiene che Washington ha stanziato circa il 5% del pil in misure dirette a contrastare la crisi e la Cina il 6%, mentre la Germania, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia hanno varato misure aggiuntive anti-crisi pari al 3,5%, all’1,4%, all’1,3% ed allo 0,5% dei rispettivi pil. L’Italia, alla prese con uno stock elevatissimo di debito pubblico e con un’occupazione e produzione che stanno resistendo abbastanza bene, ha titolo per sottolineare come una strategia più espansionista oggi – il bilancio di previsione 2009 Usa prevede un disavanzo pari al 13% circa – significhi la “tassa più iniqua” sui poveri del mondo domani: un’ondata d’inflazione. Gli indici degli alimentari hanno fatto passi indietro negli ultimi mesi, ma la ripresa di un loro balzo è dietro l’angolo. Si legga a riguardo “The Anatomy of a Crisis: the Causes and Consequences of Surging Food Prices” di Shenggen Fan, un economista cinese che lavora a Washington all’International Food Policy Research Institute. Uscito due settimane fà merita di essere studiato dagli sherpas dei “grandi”.
• A Londra, si tenterà di giungere alla definizione di nuove regole per la finanza mondiale. Vi lavora alacremente comitato guidato dal Vice Governatore della Banca centrale dell’India e dal Vice ministro dell’economia del Canada. Il rapporto, di cui ho avuto modo di studiare una delle stesure, da un lato, è troppo timido (“fare sì che le istituzioni finanziarie migliorino le loro prassi di vigilanza prudenziale e di retribuzioni ai manager in linea con obiettivi a lungo termine”), da un lato non tiene adeguatamente conto delle esigenze di Paesi come l’Italia il cui tessuto è costituito da piccole e medie imprese (infatti verrebbero potenziati vincoli come quelli di Basilea II). Altro campo in cui Roma può, e deve, fare sentire la propria voce.
Naturalmente, oltre a questi tre punti ce ne sono molti altri. Li approfondiremo man mano che la cronaca della crisi evolve.
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