giovedì 19 marzo 2009

IL FALLIMENTO DELLA CAMPAGNA NEI PAESI DELL’EST , Il Tempo 19 marzo

Il G20 finanziario (preliminare a quello dei Capi di Stato e di Governo in programma a Londra il 2 aprile) si è appena concluso con l’ormai consueto invito ad avere fiducia nella vasta gamma di strumenti a disposizioni dei Governi per uscire dalla crisi (il saggista americano - venti anni nella redazione di “Business Week” – la chiama “Il Grande Crollo” , “The Great Collapse”). Sappiamo che l’atmosfera non è stata idilliaca. Da un lato, gli Stati Uniti insistono perché l’Ue mandi all’aria il “patto di stabilità” ed adotti una politica di bilancio maggiormente espansionistica (negli Usa di prevede, per l’esercizio in corso, un deficit pari ad oltre al 12% del pil , mentre nell’area dell’euro si cerca, con vario grado di successo, di non superare il 3% -4% del pil). Da un altro, sta esplodendo il caso della “Subprime Europe”, per utilizzare il lessico di Liaquat Ahamed (americano pure lui ed autore del best seller “Lords of Finance: the Bankers who Broke the World”), ossia dei Paesi europei afflitti da uno tsumani di insolvenze.
Il primo in classifica (ciò è notissimo) è la Gran Bretagna, integrata al sistema finanziario atlantico. A Nord è di nuovo nei guai la Svezia (che all’inizio degli Anni ‘90 dovette nazionalizzare temporaneamente le proprie banche al fine di evitare fallimenti a catena). Questa volta gli istituti svedesi non sono stati troppo generosi con i propri clienti (individui, famigli ed imprese) ma con banche (ed in minor misura aziende) delle Repubbliche Baltiche – un paio delle quali pensano di seguire l’Islanda sulla via del “fallimento nazionale”: l’equivalente del 20% del pil svedese è stato prestato ai baltici, i quali ora dicono “non ti pago perché non posso” – adesso si parla di “garanzie” dei contribuenti svedesi alle loro banche per evitare guai peggiori, od una nuova nazionalizzazione.
A Est (in Europa centrale ed orientale) sono la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Romania ad essere in un pasticciaccio finanziario. Mediamente hanno svalutato le loro monete di un terzo circa dalla scorso agosto (le divise dei baltici e dei bulgari restano ancorate all’euro) , dando un brutto colpo a chi ha esteso prestiti denominati in valute locali. Mentre gli istituti di credito svedesi sono i più danneggiati da quanto avviene sul Baltico), l’analisi citata di Liquiat Ahamed dice che l’Austria e l’Italia saranno i Paesi le cui banche soffriranno di più per le loro operazioni (e la loro campagna acquisti) in Europa centrale ed orientale. I prestiti degli istituti austriaci ai neocomunitari dell’Est (ed ai Balcani) sono pari al 70% del pil della Repubblica. Notevolmente inferiore, per fortuna !, l’esposizione degli istituti italiani (le stime si aggirano sul 10% del pil). Non un livello da dare i brividi. Ma da dare la consapevolezza che esiste una “Subprime Italia” anche a ragione di quell’”allargamento” tanto voluto da Romano Prodi quando era alla guida della Commissione Europea.

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