mercoledì 25 marzo 2009

E’ NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE IL TERMOMETRO DELLA CRISI, L'Occidentale 26 marzo

La produzione industriale tracolla. Non solo in Italia (circa – 17% in 12 mesi all’ultima conta) e nell’unione monetaria europea (-12%; - 19% nella sola Germania federale e – 24% in Spagna), ma anche in Paesi di nuova e rapida industrializzazione come il Brasile (-15%), la Repubblica di Cina, a Formosa, (-45%), la Tailandia (-22%) o la Turchia (-21%). Sotto il profilo strutturale, ciò vuol dire che , quando si sarà usciti dalla crisi, il mondo sarà differente da quello che era all’inizio del XXI secolo: non solamente una finanza più prudente (e forse meglio vigilata) ma anche una mappa differente della produzione industriale. Ad esempio, i dati di Cina ed India sono in marcata controtendenza rispetto al resto dell’economia internazionale: un aumento della produzione industriale del 4% nella prima e del 6,4%. Le statistiche cinesi sono sempre un po’ sospette (specialmente se espresse “a prezzi costanti”); non così quelle indiane- tradizionalmente di ottima qualità da oltre 40 anni e indicate come modello da Fondo monetario e Banca mondiale. Se i numeri indicano tendenze a lungo termine, si starebbe tornando al 1820 quando, secondo gli studi meticolosi e certosini di Angus Maddison, Cina ed India rappresentavano, insieme, il 43% del valore aggiunto mondiale.
Riservandomi di approfondire gli aspetti strutturali quando il quadro comincerà ad essere più chiaro,.chiediamoci se gli indici sulla produzione industriale, unitamente a quelli sui mercati mobiliari (scesi ai livelli in cui erano una dozzina di anni fa) , suggeriscono che siamo al punto di svolta inferiore oppure che “si comincia a vedere la luce alla fine del tunnel” (come sostiene Nouriel Roubini, generalmente accreditato per avere previsto la crisi alla fine del 2006, mentre un paio di economisti italiani ne avevano già scritto a metà 2006 e , paradossalmente, in un saggio a quattro mani del lontano 1999 due collaboratori de L’Occidentale anticipavano temi (sulla qualità della vigilanza dei servizi finanziari a fronte dell’espansione della finanza strutturata) correnti in questi mesi).
La scuola secondo cui starebbe per iniziare la ripresa (specialmente del mercato mobiliare) sta guadagnando adepti, soprattutto negli Stati Uniti. Il Preside della Stern School of Business della New York University , Thomas Cooley, ad esempio, suggerisce che dato che mediamente le valorizzazioni mobiliari sono crollate del 50 rispetto al punto più alto toccato dagli indici 17 mesi fa, la rimonta dovrebbe essere dietro l’angolo. Lo ripete da mesi Warren Buffett, uno dei finanzieri di maggior successo al mondo; tuttavia, da quando in ottobre ha, per la prima vola, ha invitato a correre a Wall Street a comprare, il Dow Jones ha perso un buon 20%. Meno istintiva l’indicazione di Russel Napier nel libro “Anatomy of the Bear: Lesson from Wall Street’s Four Great Bottoms”. In base ad un’analisi storica, Napier afferma che in passato ci sono stati tre “anticipatore” di rilievo: il prezzo del rame, i valori delle obbligazioni di grandi imprese, il rendimento dei titoli di Stato (ossia del Tesoro Usa) indicizzati. Da tre-quattro mesi , i tre indicatori puntano all’insù. Napier non dice che ciò s’inquadra perfettamente con il tracollo della produzione industriale, in parte determinato dallo smaltimento delle scorte.
Due altri indicatori devono essere tenuti in conto: i prezzi effettivi di vendita delle case ed il mercato dell’auto. I primi non sono scesi in modo uniforme né all’interno degli Stati Uniti né raffrontando le medie Usa con quelle del resto del mondo. Il secondo è giunto nel Nord America a livelli non toccati dal 1981. Secondo un lavoro della Anderson School of Management della Univesity ol California a Los Angeles, gli Usa potranno dirsi fuori dalla crisi quando le giovani coppie americane troveranno case facilmente a prezzi in linea con i loro portafogli e le loro possibilità di contrarre mutui alle condizioni attuali (più prudenti di quelle di solo qualche anno fa) e gli americani riprenderanno le loro storie d’amore con le automobili. Allora gli Stati Uniti riprenderanno a trainare il mondo. E si sarà superata la boa.
Ricordiamoci però del detto di John Kenneth Galbraith, secondo cui in materia di previsioni gli economisti non hanno in generale una reputazione molto migliore di quella degli astrologhi. Le indicazioni sul punto di svolta inferiore e sulla luce alla fine del tunnel, sono, in gran misura, Usa-centriche ove non Wall Street- centriche. I dati sulla produzione industriale in apertura di questa nota suggeriscono invece che è in atto un cambiamento strutturale forse profondo. Vorrei azzardare un’ipotesi: potremo dire che si sta uscendo dalla crisi quando ai tre rispettabilissimi indicatori di Napier si aggiunge l’indice dell’eximport mondiale. Quando il commercio internazionale (oggi in contrazione dopo un decennio di tassi di crescita al 7% l’anno) darà segni di ripresa, potremo dire che il fondo è stato toccato e si sta risalendo. Potremo anche individuare chi siede al posto del conducente.

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