Roma, 10 mar (Velino) - Francesco La Vecchia e l’Orchestra sinfonica-Fondazione Roma hanno avuto una grande idea nel riproporre domenica (e ieri in replica) nell’auditorium di via della Conciliazione nella Capitale lo smisurato “Concerto op.39” per orchestra, piano e coro maschile di Ferruccio Busoni (1866-1924). Una composizione vastissima e virtuosistica raramente eseguita sia per le difficoltà che comporta sia per la durata di un’ora e 20 minuti circa. Composto nel 1904, è probabilmente il lavoro orchestrale di Busoni più conosciuto. Paul Gilbert Langevin in occasione del centenario della nascita del compositore scrisse che si trattava “du plus grand Concerto jamais écrit”. Non è soltanto un concerto per pianoforte e orchestra, bensì una sorta di credo estetico-musicale dell'artista: Busoni per metà della sua vita attese alla composizione di questo concerto e per l'altra metà a quella dell’opera incompiuta “Doktor Faust” che in Italia non viene rappresentata da circa 20 anni.
Il concerto si articola in maniera anomala rispetto agli standard classici. Da una cella di poche note del secondo movimento di una composizione giovanile (un capriccio composto a dodici anni), Busoni ha tratto, per modifica d'intervallo temporale, il tema centrale e ricorrente nella composizione, nonché ampliamente sviluppato nel terzo movimento: il “pezzo serioso”. Non è un concerto per orchestra e pianoforte tradizionale, in quanto il piano non si giustappone all’orchestra ma è in essa integrato. I cinque movimenti si articolano in una struttura che guarda al futuro, pur restando ancorata alla classicità. Busoni aveva in mente una “summa”, per così dire, delle sue esperienze di vita sino ad allora compiute e al tempo stesso una sorta di proiezione verso il futuro, violando, per la prima volta nella storia della musica, la struttura classica del concerto e introducendovi il pianoforte con funzioni differenti: ora concertante, ora solista, ora dialogante con l’orchestra. Inoltre, dopo lunga preparazione (quattro movimenti per circa un’ora di musica), il messaggio spirituale viene affidato al coro: si tratta del Befehl, l'invito a essere felici guardando la divinità nella sua forza e nel suo divenire esistenziale.
Busoni non era un credente: il divenire esistenziale diventa il suo Dio, tanto in questo sterminato concerto quanto in “Doktor Faust”. A differenza della serenità quasi buddista del contemporaneo Das Lied von der Erde di Gustav Mahler, la posizione dell'uomo dinanzi al mondo è imperniata sullo scorrere dell'alternarsi della vita e della morte, della gioia e del dolore, mentre il coro sottolinea Die Unverwüstlichkeit stellen sie dar!, espressione che solo molto approssimativamente può essere tradotta in italiano con la frase “i pilastri del mondo sono qui”. Dopo la frenesia del quarto movimento (una tarantella che il pianista esegue a ritmi al limite dell'impossibile per la velocità e la pulizia richieste), l'orchestra tace quasi di colpo e due note musicali ripetute introducono al “cantico”, quinta e ultima parte. L'invito è a un ascoltare sommesso, un’affermazione categorica da morale kantiana. Prima che pianoforte e orchestra riprendano nelle ultime serrate battute del “cantico” il loro dialogo stringente e virile, il coro quasi non canta più, urla, in fortissimo, la sintesi di un’ora e più di musica, come se un grido all'unisono risuonasse non solo dal coro ma da ogni strumento: Preisend die Göttlichkeit schweigt das Gedicht! (Pregando la divinità tace la poesia!).
Lo studioso di musica Laureto Rodoni ha scritto efficacemente a proposito dell’opera di Busoni: “Con i suoi cinque movimenti il concerto sembra possedere la struttura di una cattedrale con il pezzo serioso (a sua volta, si ripete, articolato in più parti) che funge da corpo centrale della costruzione, da navata. Il pezzo giocoso e quello denominato all'italiana fungono da navate laterali. Il prologo ed introito costituisce la scalinata d’ingresso. Il cantico funge da altare. Un altare laicismo ma non per questo meno religioso. Un'affermazione che può sembrare ovvia e scontata: il concerto va ascoltato e, soprattutto, compreso”. Delle edizioni discografiche esistenti del lavoro di Busoni, nessuna viene considerata adeguata. L’esecuzione verrà probabilmente inserita nella collana di compositori italiani del Novecento che l’Orchestra Sinfonica-Fondazione Roma sta registrando per la casa discografica Naxos.
A Roma il direttore La Vecchia ha offerto un’esecuzione esemplare del “Concerto” tale da gareggiare con quella proposta circa tre anni fa da Antonio Pappano all’Accademia di Santa Cecilia. Hanno contribuito al successo il pianista Roberto Cappello (uno specialista del virtuosismo busoniano) e il coro “Luca Marenzio” diretto da Martino Faggiani. A fronte della cattedrale gotica dell’opera di Busoni è parsa quasi priva di spessore la suite “Romeo e Giulietta” di Sergej Sergeevic Prokofiev, eseguita subito dopo, che pur è una sintesi raffinatissima di uno dei migliori balletti del compositore russo. Attenzione: con ciò non s’intende sminuire né il valore della suite né la cura dell’esecuzione, ma sottolineare come il “Concerto” di Busoni sia stato così pregevole che forse avrebbe meritato una serata soltanto per se.
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