TUTINO The Servant A.Antoniozzi, M. Milhofer, G. Piunti, R. Rosique. Regia, Scene e Costumi Gabriele Lavia. Direzione Musicale Guillaume Tournaire. Quartetto di Fiesole e Solisti (G. Ragghiani, P. Bardaro, M. Vincenti)
L’opera da camera di Marco Tutino è tratta dal romanzo di Robin Maugham, il cui intreccio, al tempo stesso morboso ed inquietante (per i complessi risvolti psicologici su cui è basato), è noto principalmente tramite la trasposizione cinematografica fattene da Joseph Losey nel 1963 (con una sceneggiatura di Harold Pinter). In breve, il maggiordomo Barret riesce a dominare il proprio ricco, viziato, vizioso ed annoiato datore di lavoro, Tony, grazie ad un graduale processo di plagio utilizzando anche e soprattutto il sesso (delle proprie donne e pure il proprio). Il lavoro ha avuto la prima mondiale a Macerata nel contesto dello Sferisterio Festival. L’opera dura un’ora e mezzo, ha quattro interpreti (uno in due ruoli), richiede un organico orchestrale di sette solisti, è divisa in nove rapide scene (ciascuna delle quali ha un proprio fulcro tematico), collegati da otto brevi intermezzi (tutti sul medesimo tema). Tale architettura musicale non può non ricordare “The Turn of the Screw” di Benjamin Britten (o il suo maggiore antecedente, il “Wozzeck” di Alben Berg) oppure, se si vuole andare a lavori più recenti, “Postcard from Marocco” di Dominick Argento. Il raffronto con Argento è forse il più puntuale in quanto la vocalità pur insistendo sul declamato del “chiacchierar cantando” affida un arioso a ciascuno dei quattro protagonisti vocali. Raffinatissima la scrittura orchestrale, caratterizzata da eleganti contrappunti timbrici degli strumenti a corda agli archi.
Ci si pone indubbiamente l’interrogativo se “The Servant” sia uno sguardo al passato od un ponte verso l’avvenire. “The Turn of the Screw” e “Postcard from Marocco” risalgono, rispettivamente, a 50 ed a 30 anni fa. Avendo appena ascoltato a Aix-en-Provence “Passion” di Pascal Dusapin (ed avendo ancora in mente il “Kyrielle du sentiments des choses” di François Sarhan, oltre che, per andare ad autori italiani, il recente “Il tempo sospeso nel volo” di Nicola Sani) , lo sguardo sembra rivolto al passato recente con un occhio ammiccante a quella parte del pubblico (e della critica) legata al Novecento, anche se non necessariamente a quello definito “Novecento storico”, ma decisamente lontana dalla contemporaneità più avanzata. Ciò non è necessariamente una critica negativa. Oltreoceano, e in molti Paesi europei, si è riportato in questo modo il pubblico in teatri d’opera per lavori d’autori viventi. Penso a “The bitter tears of Petra von Kant” (“Le lacrime amare di Petra von Kant”) di Gerald Barry, “Thyeste” di Jan van Vljimen, a “Pan”di Marc Monnet. A”Sophie’s Choice” (“La scelta di Sofia”) di Nicholas Maw ed al delizioso “Seven attempted escapes from silence” (“Sette tentativi di fuga dal silenzio”), un libretto di Jonathan Safran Foer messo in musica da sette giovani compositori di Paesi e scuole musicali differenti. Tutti lavori tratti da una base letteraria spesso resa nota dalla trasposizione cinematografica o televisiva e trasformati in teatro in musica tramite un linguaggio al tempo stesso accattivante ed elegante.
Sotto il profilo della scrittura orchestrale e vocale, l’appunto principale è che nei 90 minuti ci sono sette od otto scene di sesso (nelle più varie forme e nei più diversi orientamenti) ma si respira meno eros di quello che pervade la seconda metà del secondo atto della pucciniana “Manon Lescaut”.
Ineccepibile l’allestimento. La stanza da letto-salotto messa in scena nell’Auditorium San Paolo (una chiesa barocca ora diventata aula magna dell’università) ha tutto il morboso ed il macero che richiede l’ambientazione. Perfetta la recitazione. Ottime le quattro voci – tutte a livello d’eccellenza. Raffinata la direzione musicale e l’esecuzione orchestrale. Lo spettacolo merita di andare in tournée.
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