La grande (e lenta) riforma – il federalismo fiscale - approvata dal Consiglio dei Ministri è colma di promesse, ma, come ha illustrato Oscar Giannino su “Libero” del 12 settembre contiene numerose trappole. Vediamo di individuarle, alla luce della letteratura più recente; è tanto vasta che alcuni titoli possono essere sfuggiti a chi ha lavorato sul testo del disegno di legge, e soprattutto a chi sta studiando ed impostando i decreti legislativi da definire nei prossimi due anni.
La promessa è una migliore gestione della finanza pubblica – in termini sia quantitativi (riduzione del disavanzo ed in prospettiva pareggio di bilancio , oltre che riduzione dello stock di debito pubblico in percentuale del pil) sia qualitativi (servizi più efficaci ai cittadini per unità di spesa). Non è una promessa priva di basi effettuali. Lori L. Lachman, Guillermo Rosa, Peter Lange e Alan Bester di Duke University hanno passato lustri a studiare questi temi. Di recente, hanno aggiornato ed approfondito una ricerca sull’esperienza di 15 Paesi dove vige il federalismo fiscale. Ne hanno pubblicato i risultati sulla rivista scientifica “Economics & Politics”, Vol. 19, pp. 369-420 in un saggio intitolato “The Political Economy of Budget Deficits”. Il lavoro è interessante per la metodologia econometrica utilizzata: dallo studio si ricava che dove le istituzioni preposte al controllo complessivo del bilancio – quali, in Italia, la Ragioneria Generale dello Stato – sono “forti”, il federalismo ha un impatto positivo sulla gestione e la qualità della spesa (grazie ad un più stretto controllo sociale) e ne può comporta una riduzione complessiva.
Le trappole sono documentate da Wallace E. Oates con il suo solito stile brillante in un saggio (“On the Evolution of Fiscal Federalism: Theory and Istitutions), pubblicato nel fascicolo di giugno del National Tax Journal e rilanciato, dallo stesso Oates, sul proprio blog il 18 agosto scorso. Oates è uno dei maggiori esperti, non solo Usa, della materia: basta consultare, su qualsiasi sito di ricerca, la sua vasta bibliografia. La rassegna della teoria e dalla prassi condotta nel saggio (e ripresa nel blog) dovrebbe essere cibo importante ove non essenziale per chi opera nel settore poiché è tra le più complete e più aggiornate nella letteratura internazionale di questi ultimi mesi. La trappola più insidiosa individuata da Oates sono gli “interfederal grants” (ossia i trasferimenti, a fondo perduto anche ove finalizzati ad obiettivi specifici tramite provvedimenti “di scopo”) tra soggetti politico-territoriali della federazione o confederazione. “La letteratura chiarisce in modo eloquente che questi strumenti sono all’origine di serie distorsioni del federalismo fiscale”. Preferibile consentire risorse proprie ai vari soggetti (imposta sul reddito regionale, accise su certe produzioni) e creare “rainy-day funds” per fare fronte a esigenze improvvise: una riduzione dell’attività economica in un’area (pensate cosa avverrebbe nel Lazio ed altrove se gli irriducibili costringono Alitalia a atterrare aerei e mettere 20.000 persone in mobilità?) od un’inattesa causa naturale (uragano, terremoto). Tali “rainy-day funds” consentono di superare la trappola dei trasferimenti.
Per cogliere le promesse ed evitare le trappole, il nodo è la definizione degli standard minimi di servizi e costi. In questa materia, il contributo al tempo stesso più recente e più interessante è di Helmut Steitz della Università tecnologica di Dresda. Il lavoro "Minimum Standards, Fixed Costs and Taxing Autonomy of Subnational Governments" può essere richiesto direttamente all’autore poiché in corso di pubblicazione (seitz@tu-dresden.de). Si basa sull’esperienza tedesca, dove i Länder hanno una potestà fiscale molto limitata. Il lavoro ha una parte teorica ed una empirica. La seconda contiene indicazioni tecniche interessanti per la derivazione degli standard (il compito che dove essere affrontato in Italia nei prossimi mesi) e calcola gli effetti distributivi d’autonomia tributaria relativamente ampia, tenendo conto del meccanismo di “equalizzazione fiscale” (per i Länder orientali) messo in funzione in seguito all’unificazione. Contiene anche stime della spesa per gli standards minimi.
In Italia – pochi lo sanno – circa tre anni fa il Dipartimento per la Coesione e le Politiche di Sviluppo (trasferito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al Ministero dello Sviluppo Economico) ha iniziato (in collaborazione con le Regioni) un interessante lavoro d’individuazione quantitativa degli standard di servizi alla collettività. Nelle prime fasi, il lavoro è stato accompagnato da incontri seminariali anche con specialisti provenienti dalle università. Non so se è proseguito. Sarebbe utile riprenderlo perché potrebbe fornire il tassello importante per dare corpo alle promesse e non cadere nella trappole.
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