martedì 30 settembre 2008

LA BUFERA SEMBRA PASSATA MA ORA LA CAI DEVE MOSTRARE DI SAPERE VOLARE L'Occidentale 30 settembre

Terminato il tormentone Alitalia (che all’inizio di novembre diventerà la sigla di una “bad company” in via di liquidazione), comincia l’avventura della Cai. Ora, la Cai deve dimostrare, a sé stessa ed al resto del mondo, di volere volare e di saperlo fare bene con una discontinuità di gestione aziendale chiara e netta rispetto a chi la ha preceduta.
La Cai nasce in un modo molto particolare. In primo luogo, nel suo certificato di nascita è scritto a tutto tondo che non si è trattato di parto naturale; è stato un parto assistito dalla volontà politica del Governo in carica (nonostante gli sforzi dell’opposizione per impedirlo all’insegna dello stalinista “tanto peggio, tanto meglio”) e soprattutto dai contribuenti. Dopo avere sovvenziato per decenni Alitalia, essi hanno dato la loro disponibilità a sobbarcarsi i costi inerenti alla “bad company” ed agli ammortizzatori sociali davvero straordinari, nel senso etimologico di “fuori dall’ordinario” , per gli esuberi. Quindi, per utilizzare il lessico di moda in questo primo scorcio di XXI secolo, la Cai ha l’onere di dare prova di “Corporate Social Responsibility” (CSR) rispetto al Paese, al sistema Italia ed ai cittadini- contribuenti. In linea con quanto sostengono i nostri amici dell’Istituto Bruno Leoni, la prima prova di CSR consiste nel fare e macinare utili, presto e bene. E’ interesse personalistico ma legittimissimo anche dei dipendenti della Cai poiché parte degli utili verranno “retrocessi” (termini tecnico per dire stornati) alle loro buste paga.
In secondo luogo, la Cai non è né una s.p.a. ad azionariato diffuso (la “public company” di cui si insegna in università) né una s.p.a. con un nocciolo duro (e potente, anche se piccolo). Nasce come una “friendly company”, una s.p.a. tra imprese “amiche” (pur se si tratta d’amorosi affetti basati su legittimi interessi finanziari). Sono tanto “friendly” e si fidano tanto gli uni degli altri che hanno sottoscritto un “patto di non bracconaggio”: nessuno farà il franco tiratore vendendo a terzi non appena si presenta la prima buona occasione, ma resteranno uniti, nello stesso letto e sotto le stesse lenzuola, per almeno cinque anni. In questo periodo, decideranno insieme chi altro accogliere sul materasso. Naturalmente, chi ha versato (o si è impegnato a versare) di più, conta anche di più di chi ha versato (o si è impegnato a versare) di meno. Negli ultimi anni, si è sviluppata una linea di letteratura d’economia e management d’impresa sulla “friendly company”; ad Oxford, si conferisce un M.Sc. su questi temi dopo un apposito corso di laurea magistrale. Le “friendly companies” tendono ad essere di più difficile gestione delle public companies e della s.p.a. in cui un nocciolo duro ha lo scettro del comando. Un apposito sito web (www.bnet.com) ne traccia meriti e difficoltà anche con un apposito forum. I processi decisionali tendono ad essere relativamente lunghi. Il tasso di differenze di punti di vista o, se vogliamo, di litigiosità tra i “friends” tende ad essere comparativamente elevato. Questi attributi poco si addicono ad una compagnia aerea che voglia volare a livello intercontinentale (e guadagnarci). In Italia, molti ricordano una “friendly company” per pubblicare un settimanale; hanno avuto breve durata tanto la “company” quanto il periodico.
La giornata si vede dal mattino. Le prime prove sono imminenti: la scelta del partner straniero e la decisione sugli hub. Tra i friends, c’è chi tira la giacchetta del management da una parte e chi la tira dall’altra. La politica politicante pare avere ripreso ad essere “pasticciona” ed “impicciona” (secondo la definizione di uno che se ne intende, il Prof. Giuliano Amato). Chi, come il vostro “choniqueur” non si intende di impicci e pasticci, ma di trasporto aereo aprirebbe le porte sia a AirFranceKlm sia a Lufthansa (pronta a entrare una volta che il Comm. Carlo Toto ha scelto di dedicarsi ad altre intraprese). Se le due compagnie straniere accettano, la Cai diventerebbe la cerniera (e la cassa di compensazione) del trasporto aereo europeo ed avrebbe due “hub” , Malpensa (rivolta al Nord) e Fiumicino (rivolta al Mediterraneo ed al Sud). Il nodo sarebbe se entrare in SkyTeam o in StarAlliance. Restare in SkyTeam sarebbe più semplice e si potrebbe trovare un accordo con StarAlliance guardando ad un futuro inevitabilmente rivolto ad una maggiore concentrazione e di compagnie e d’alleanze.
I prossimi giorni ci diranno se il volere volare della Cai è un’effettiva promessa di sviluppo.

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