Roma capitale è pendolare. Quasi i due terzi dei romani si sposta più di 23 minuti dalla propria abitazione per raggiungere il posto di lavoro ed almeno altrettanto per tornare la sera a casa. 23 minuti è lo standard applicato in numerose città tedesche e svizzere per definire chi è e chi non è un pendolare. L’Università di Roma “La Sapienza” ha condotto uno studio sul “pendolarismo ferroviario”; il fenomeno caratterizza il 60% circa degli studenti de “La Sapienza” ed oltre il 20% di un’università privata ritenuta di élite come la Luiss. Questo dato, anche se molto limitato, è eloquente dell’estensione del fenomeno- uno dei principali all’attenzione dell’assessorato alla mobilità e, si auspica, uno dei temi che saranno affrontati dalla Commissione sul futuro della capitale. (se sarà costituita).
Sui costi del pendoralismo esiste una vasta letteratura specialmente negli Usa: secondo l’Agenzia federale per l’ambiente, una famiglia americana spende mediamente il 20% del proprio reddito in andare e venire del lavoro (più di quanto dedica all’alimentazione). Un altro studio (su un vasto campione di città Usa) afferma che il costo del pendolarismo per l’individuo è, all’ora, pari al 50% del salario orario (anche se varia del 20% al 100% a seconda delle condizioni e dello status economico-sociale). Il pendolarismo, però, ha anche benefici: un sistema efficiente di trasporti facilita la produttività dei fattori di produzione perché consente l’allocazione di ciascun fattore (lavoro, tempo, capitale, terreni) agli usi più produttivi. Molte analisi quantitative (Usa e asiatiche) considerano il pendoralismo come una scelta: una casa più grande immersa nel verde in cambio d’ore in treno, tram, autobus ed automobile . Molti di questi lavori male si applicano a Roma dove, unicamente per poche categorie (di fasce alte di reddito), il pendolarismo è una scelta. Quasi sempre, è una necessità.
Di grande interesse un lavoro recente di Alois Stutzer e Bruno Frey dell’Università di Zurigo pubblicato dall’Istituto tedesco di studi sul lavoro. Stutzer e Frey sono tra i caposcuola dell’”economia della felicità” – in cui si sostituisce il pil e la sua crescita con indici di soddisfazione individuale e sociale come metro di successo per un Paese. Lo studio si basa su 14 anni di dati delle maggiori città tedesche (dove l’inchiesta federale socio-economica sulle famiglie include quesiti specifici in proposito). Con un forte apparato statistico e metodologico, dall’analisi si ricava che, in contesto urbano europeo, il costo del pendoralismo in termini di stress (e riduzione di produttività) è molto elevato: chi supera lo standard di 23 minuti per andare al lavoro e per tornarvi dovrebbe essere compensato con un aumento del 19% della propria paga per arrivare ad un giusto equilibrio.
Le implicazioni sono vaste. Riguardano sia la mobilità sia la contrattazione integrativa. Meritano una riflessione profonda.. Il dibattito è aperto. Mi auguro che molti vogliano inviare contributi di idee.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento