Chi avrebbe mai immaginato che il 15 settembre alla Sala Petrassi del Parco della Musica a Roma, ci si sarebbero state ovazioni da stadio al concerto di Mariella Devia, accompagnata da Rosetta Cucchi al pianoforte, “Scene da Prima Donna”, basato su arie di Rossini, Bellini e Donizetti? Le ovazioni si sono verificate non solo al termine del concerto ma anche durante?: Qualcosa di analogo il 12 settembre al concerto dei “tre tenori del belcanto” con cui si è aperto il festival, per l’appunto, del “belcanto” che terminerà, nella capitale, con due esecuzioni, in forma di concerto, di “Norma” di Vincenzo Bellini il 26 ed il 29 settembre.
In parallelo, a Palermo viene messa in scena “I Puritani”, opera in cui, secondo il musicolo Friederich Lippmam, “la melodia belliniana rifugge in tutto il suo splendore, nella sua ricchezza di sfumature”. Raramente rappresentata proprio per le difficoltà vocali che presenta (le acrobazie del soprano nella “scena della pazzia”, i do acuti ed i re maggiore del tenore),il nuovo allestimento palermitano si vedrà a Bologna il febbraio prossimo, a Cagliari in primavera avanzata, al Festival di Sanvonlinna in Filanda in luglio e successivamente a Tokio- un vero esempio di quell’”esportar cantando” del made in Italy promosso parallelamente da Sandro Bondi al Collegio Romano e da Adolfo Urso a Viale Boston (Commercio con l’Estero). Nel contempo un’altra nuova produzione de “I Puritani” prende il via a Bergamo in ottobre per approdare a Sassari ed in altre città. In parallelo, sempre in ottobre un’altra opera belcantisca “La sonnambula” è a Cagliari ed a Bergamo si è appena ascoltata una delle prove più belcantistiche di Gaetano Donizetti, “La favorite”. Un rientro, quindi, in grande stile dopo una lunga fase in cui, con l’eccezione di pochi titoli, sembrava apparire di rado nei teatri ed interessare specialmente il pubblico anziano.
Non esiste una definizione puntuale di cosa è il “belcanto”. Premia la vocalità ed utilizza orchestra ed orchestrazione a supporto della voce, senza necessariamente “impastarsi” con essa. Spesso – scrive il musicologo H.C. Robbins Laddon – l’orchestrazione finisce per essere trascurata, come indicano , ad esempio, errori nella scrittura per timpani nella stessa “Norma” – “avrebbero spaventato i sensibili orecchi di Haydn e di Mozart”. Si può fare risalire il “belcanto” all’inizio del Settecento e considerarlo, in Italia, in vita sino al melodramma verdiano – nel resto d’’Europa venne spazzato via dalla vera e propria rivoluzione di Wolfgang A. Mozart. In Italia, da Verdi. In una visione più restrittiva, quale quella accolta dal festival romano, lo si accosta all’inizio dell’Ottocento, alla fine delle varie esperienze neo-classiche ed all’inizio del romanticismo: Non per nulla, Bellini e Rossini sono i protagonisti del festival al Parco della Musica, con altri autori (sempre delle prime decadi del XIX secolo) quasi esclusivamente nel concerto di Cecilia Bartoli, con l’orchestra La Scintilla del Teatro dell’Opera di Zurigo, in programma per la sera del 25 settembre nella sala più grande del Parco della Musica – quella per 2800 posti (mentre il “belcanto” è stato concepito per sale di 600-1000 posti quali quella , a Zurigo, dove la Bartoli si esibisce normalmente).
Soffermiamoci su “I Puritani”, ultima opera di Bellini, apoteosi del “belcanto”, anche in quanto basata su un libretto – del Conte Carlo Pepoli- inferiori a quelli di Felice Romani (autore preferito del compositore catanese), e la cui orchestrazione è stata curata con attenzione davvero speciale (rispetto alla prassi dell’epoca).Opera composta in Francia e per mostrare ai francesi “ciò che è canto”, caratterizzata relativamente da poche arie, brevi recitativi e numerosi numeri d’insieme (duetti, terzetti, quartetti che si sciolgono in concertati con coro), nonché soffusa di melanconia piena di anima e tale da appassionare dopo circa 200 anni tanto quanto accadde nel 1835.
L’allestimento palermitano è stato chiaramente pensato da Pier’Alli per viaggiare e per essere adattato a palcoscenici di differenti dimensioni. “I Puritani” è un’”opera ad imbuto”; un’ora e mezzo per il primo atto, tre quarti d’ora per il secondo e mezz’ora per il terzo (tecnica molto moderna, si pensi alle opere del contemporaneo Eotvos). Nei primi due atti domina il grigio; accompagna amori, intrighi, tradimenti (finti o presunti), anche follia in una vicenda situata ai tempi delle guerre di religione Cromwell; nel terzo, dove con un colpo di scena inatteso giunge il lieto fine, dominano il verde e l’azzurro. Siparietti e proiezioni, a budget limitato e facilmente trasportabili. La concertazione di Friederich Haider , dilatata e non enfatica, coglie l’atmosfera melanconica. La protagonista – la bella e giovanissima Désirée Mancatore già da diversi anni sulla scena internazionale – è palermitana: il pubblico le concede più applausi a scena aperta di quelli che le attribuirebbe il critico. Ottimo il registro, la tessitura, il fraseggio e la sparata dei “do” di José Bros nella prima parte, ma una stecca nel duetto del terzo atto lo costringe a rifuggiarsi nel falsetto, scontentando il pubblico. Carlo Colombara conferma di essere un basso di coloratura di livello. Buoni gli altri, specialmente il coro guidato da Miguel Fabián Martínez.
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