martedì 9 settembre 2008

PIU’ QUOTE? INUTILE SE I MERCATI NON SONO TRASPARENTI, Libero 9 settembre

La riunione ministeriale dell’Opec , che inizia oggi 9 novembre a Vienna, non riguarda (come scrivono molti quotidiani) unicamente o principalmente i livelli e le quote di produzione sulla scia della (peraltro leggera) riduzione dei prezzi del greggio segnata la settimana scorsa sui principali mercati internazionali. All’ordine del giorno ci sono almeno due problemi ugualmente importanti (anche se poco notati dalla gran parte degli osservatori): a) la tipologia di contrattazioni (ossia come funziona, o non funziona, il mercato del petrolio) e b) la denominazione dei contratti (se unicamente o soprattutto in dollari Usa oppure se gradualmente ma in proporzione sempre maggiore nella moneta unica europea, l’euro). Non è necessario avere accesso ad informazioni privilegiate per sapere cosa c’è nelle borse di alcuni Ministri: è sufficiente leggere con attenzione il periodico scientifico dell’organizzazione, la “Opec Energy Review”, ed altre riviste del settore, per toccare questi temi con mano.
Ricordiamo, in primo luogo, che oggi l’Opec controlla il 40% della produzione mondiale di greggio ed è composta di 13 Paesi: Arabia Saudita, Iran, gli Emirati arabi uniti, il Kuwait, l’Iraq, il Venezuela, la Nigeria, l’Angola, la Libia, l’Algeria, il Qatar, l’Indonesia e l’Equator. Alla dine del 2008, l’Indonesia lascerà l’organizzazione poiché, diventata, importatore netto di petrolio (a ragione della sua rapida, anche se tumultuosa, crescita economica), non ha più titolo per farne parte. All’interno dell’Opec si sono “falchi” (Iran e Venezuela) che premono per un contenimento della produzione ed una redistribuzione delle quote (tra i soci del club) allo scopo di impedire un’ulteriore riduzione dei prezzi. Ci sono anche “colombe” – guidate dall’Arabia Saudita- che temono, invece, gli effetti recessivi sull’economia mondiale di alti prezzi del petrolio , nonché un crescente uso di energie alternative (specialmente il nucleare); ciò – argomentano - danneggerebbe gli stessi Paesi esportatori di “oro nero”, incidendo sulla domanda prima che abbiano il tempo ed il modo di diversificare le proprie economie. Uccidendo, quindi, la gallina dalle uova d’oro.
Ci sono numerose analisi quantitative a favore delle tesi delle “colombe”. Una della più significative (ma meno conosciute) è un modello econometrico dinamico dell’economia internazionale – il Fugi (Futures of Global Interdipendece)- sviluppato alla fine degli Anni 90 dall’economista Giapponese Akira Onishi ed adottato, da oltre un lustro, da un organo delle Nazioni Unite con base a Ginevra, l’Unctad (Conferenza permanente dell’Onu sul commercio e lo sviluppo): il modello è eloquente in quanto preconizza già una “post-oil society” (in seguito al progresso tecnologico). I sauditi conoscono bene i suoi 200 blocchi (e migliaia di equazioni) poiché da decenni il Regno saudita promuove una formazione avanzata in economia (tanto all’estero quanto, da una ventina d’anni, all’interno). D’altronde, già a metà agosto, “Libero Mercato”ha ricordato come l’ultima analisi quantitativa di Olivier Blanchard del Mit (tra breve alla guida degli studi economici del Fondo monetario) riguardi proprio le ragioni per le quali gli “oil shocks” di questo inizio di XXI secolo non hanno morso sugli andamenti macro-economici tanto quanto quelli degli Anni 70 (Cepr Discussion Papee No. DP 6631). Un lavoro del Fondo monetario, della Federal Reserve e della Banca centrale del Canada giunge a conlusioni analoge a quelle del Fugi (e di Blanchard) utilizzando il Gem (Global economic model) dello Fmi, uno strumento statico, non dinamico, ma il cui impiego utilizza una banca dati unica al mondo e per ricchezza e per qualità (Nber Working. Paper No W13972). Di conseguenza, l’Arabia Saudita (ed i suoi alleati) si presentano al tavolo con cifre significative per raccomandare di guardare al medio e lungo periodo, accantonando le voracità di breve periodo (dell’ Iran, del Venezuela e di qualche altro).
Nel breve termine – suggeriscono – occorre focalizzarsi su altri argomenti, relativi principalmente al funzionamento del mercato. Un segnale importante è stato lanciato da Ǿysten Noreng (economista norvegese) sulla “Opec Energy Review”: un vero e proprio sasso nello stagno per dimostrare, teoria delle opzioni finanziarie in mano, che ai Paesi produttori(ed anche ai maggiori Paesi consumatori) non conviene più fare contratti di compravendita di greggio denominati in dollari Usa – è preferibile il più stabile euro, che non comporta di accollarsi i rischi del deprezzamento del dollaro (visto inevitabile ancora per diverso tempo a ragione della situazione della bilancia dei pagamenti americana). Il messaggio è più eloquente per dove è pubblicato che per i contenuti.
E’ ancora la “Opec Energy Review” a pubblicare due studi che riguardano, il primo, le dinamiche, su base mensile, del mercato del petrolio nell’Ocse (nel periodo gennaio 1995-settembre 2007) ed il secondo la volatilità dei futures del greggio al New York Mercantile Exchange (la Borsa merci). Il primo analizza le serie storiche con la tecnica econometric VAR (di cui su “Libero Mercato” del 6 settembre). Le due analisi non solamente rafforzano le posizioni delle “colombe” (gli ingordi possono essere penalizzati in un mondo in cui il peso del greggio sta diminuendo) ma gettano nuova luce su quella che molti, ad esempio, Giulio Tremonti, chiamano “speculazione” alla base delle tensioni degli ultimi mesi. Il mercato funziona su un caotico sistema di “opzioni” (di solito “call options” “bruciabili” non alla data della scadenza ma in qualsiasi giorno ed in qualsiasi ora prima di quest’ultima), almeno 20 transazioni prima di quella in base alla quale i barili arrivano a destinazione. E’ un sistema opaco, non regolamentato né dai produttori né dai consumatori e neanche autoregolamentato dagli intermediari.
Dunque, rivolgersi al mercato, al suo funzionamento, alla sua trasparenza, al suo “numerario” (unità di misura) è più importante che litigare su livelli e quote di produzione. Sembra una proposizione lapalissiana. Verrà ascoltata in un momento in cui l’anti-occidentalismo di alcuni pare prevalere su tutto?

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