Ora che il timore del fallimento di Alitalia (e di un mancato decollo della Cai) sembrano essere dietro di noi, si può guardare al futuro di Roma e del Lazio senza il timore di un tracollo dell’occupazione e dei consumi (vedi Il Tempo del 20 e del 22 settembre). Si, dunque, può ragionare sul futuro della capitale e dell’area che la circonda guardando principalmente ai dati positivi, apparsi (tra tante notizie negative) in questi ultimi giorni.
Il più importante è l’andamento davvero straordinario (nel senso etimologico di “fuori dell’ordinario”) registrato dall’export laziale nel primo semestre del 2008: un aumento in valore del 10,8% rispetto allo stesso periodo del 2007, quasi il doppio da quanto riportato dal Belpaese nel suo complesso (5,9%). Più della metà delle vendite all’estero del Lazio è partito da Roma. Ciò è avvenuto nonostante il rallentamento del commercio mondiale in generale e la crescita pallida (ove non negativa) nelle due aree dove tradizionalmente le esportazioni italiane più si dirigono (Usa e Germania). L’economista Beniamino Quintieri, che è stato Presidente dell’Ice ed ora guida la Fondazione Manlio Masi (istituto di ricerca specializzato nei problemi del commercio internazionale) avverte che probabilmente l’exploit “molto lusinghiero” non si ripeterà nella seconda parte dell’anno, non tanto a ragione della scarsa capacità dell’industria di Roma e del suo hinterland quanto a motivo della crisi finanziaria, ed economica, in viaggio dagli Stati Uniti verso l’Europa.
Se si scava nei dati ci si accorge che a trainare l’esportazione di Roma e del Lazio (e, quindi, a creare occupazione, reddito e benessere diffuso) è stato soprattutto il polo chimico-farmaceutico a cavallo tra varie province (Frosinone e Latina oltre che la capitale) ma il cui fulcro strategico è nella città eterna. Un polo poco notato e poco conosciuto ma che dimostra , come Il Tempo, sottolinea da mesi, come lo sviluppo e la migliore distribuzione dei redditi non sono nel “modello Roma” di Disneyland sul Tevere e di Bolllywood (la Hollywood indiana attorno a Bombay) tra i Sette Colli immaginato da WV (Walter Veltroni) e soci ma in quella sinergia tra ricerca, innovazione e tecnologia in cui le università pubbliche e private ed il manifatturiero avanzato possono essere la molla. Un modello che rifiuta l’effimero. Tanto della bigiotteria quanto della moda stracciona (che in epoca veltroniana si volevano fare diventare caratteristici di Roma).
Ciò non vuole dire che il turismo, l’audiovisivo, i media ed i servizi in generale non abbiano un ruolo da giocare. Lo hanno come in tutte le metropoli che ospitano una capitale (anzi nel caso specifico due capitali, quella della Repubblica italiana e quella dello Stato Città del Vaticano). E’ difficile pensare, però, che possano essere la molla della modernizzazione senza una ricerca scientifica solida ed un’industria di punta. Sta alla Commisione Marzano, ormai in via d’insediamento, fornirci ricette puntuali.
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