domenica 8 maggio 2016

Vi spiego perché è folle accantonare il Ttip in Formiche 8 maggio



Vi spiego perché è folle accantonare il Ttip
Vi spiego perché è folle accantonare il Ttip
Il commento dell'economista Giuseppe Pennisi
Solo in queste ultime settimane i giornali e alcuni settori dell’opinione pubblica si sono interessati al Tttip, acronimo entrato nella galassia delle sigle internazionali e che indica il Treaty for Transatlantic Trade and Investment Parternship (Trattato per una partnership transatlantica su commercio ed investimenti). Seguo i negoziati commerciali multilaterali da quanto il Gatt, predecessore del Wto, aveva sede a Villa Le Bocage sulle sponde del Lago Lemano ed era di moda bere brandy & soda quando le trattative duravano sino all’alba (ossia quasi sempre). Allora, si era alla fine del Kennedy Round, nell’ultimo scorcio degli Anni Sessanta, e si congetturava di un’Atlantic Community Partnership, basata su due pilastri: gli Stati Uniti e la Comunità Europea (non ancora diventata Unione Europea, Ue).
Oggi il quadro è molto differente. Da un lato, il 5 ottobre scorso è stato concluso un accordo analogo tra gli Usa e gran parte degli Stati che si bagnano sul Pacifico (Cina esclusa in quanto non è “un’economia di mercato”). Da un altro lato, l’Ue ha maggiore esigenza di un accordo che regoli il commercio e gli investimenti con gli Usa di quanto non ne abbiano gli Stati Uniti; in effetti, il presidente Barack Obama non sembra disposto a fare sforzi per giungere ad un’intesa prima della fine del suo mandato. Da un altro lato ancora, voci prive di una base hanno indotto la sempre protezionista Francia ed alcuni gruppi europei a pensare che il Ttip sia uno strumento per introdurre in Europa prodotti geneticamente modificati di origine americana e a facilitare l’acquisizione di aziende europee da parte di finanziarie Usa. Occorre dire, ad alta voce, che si tratta di indicazioni fuorvianti: non solo tali temi sono al di fuori della trattativa ma una risoluzione del Parlamento Europeo vincola la Commissione Europea a vigilare con particolare attenzione che questi aspetti non entrino dalla “porta di servizio”.
Il vero rischio è che di Ttip finisca per non parlarsene più. Ciò non solo chiuderebbe l’enorme mercato americano a tante piccole e medie imprese italiane ma marginalizzerebbe l’Ue nel contesto mondiale, un’economia internazionale che sarebbe caratterizzata da una comunità pacifica molto forte e, in occidente, da un continente vecchio e stagnante. Ci si taglierebbe fuori da un commercio e da investimenti più liberi; ingrediente essenziale per fare parte di un mondo più libero.
Non è certo facile portare a termine il negoziato, prima, e farlo ratificare, poi, dai Parlamenti nazionali (il solo piccolo Belgio ne ha sette; sic!). Il Ttip, come il suo omologo nel Pacifico, ha un obiettivo più vasto della abolizione di restrizioni. Ha quello di giungere a regole comune. Un saggio di Richard Parker nel Columbia Journal of European Law (Vol. 27, No.1, 2016) traccia un percorso progressivo per forgiare tali regole comuni non con un unico accordo Ttip ma con una serie articolata in un decennio. Già ora, tuttavia, in sei importanti settori industriali c’è un accordo (non solo tra governi ma anche tra le rispettive associazione di imprese e di lavoratori). Un’intesa sulle barriere tariffarie è a portata di mano. Non è difficile giungere a regole comuni sugli appalti pubblici e sul tema della “denominazione di origine”.
Quindi, un primo importante passo si può fare. Non farlo vuol dire prendersi grandi responsabilità nei confronti delle prossime generazioni.
(anticipazione della rubrica curata da Giuseppe Pennisi che uscirà sul prossimo numero della rivista Formiche)

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