OPERA/ "La cena delle beffe" alla Scala
Pubblicazione: domenica 8 maggio 2016
Una scena de La cena delle beffe
NEWS Musica
In questa stagione, si assiste ad un
nuovo interesse per la ‘giovane scuola’ (di compositori nati alla fine
dell’Ottocento) dopo una fase in cui, tranne le sei maggiori opere di Puccini
ed il dittico di Mascagni e Leoncavallo ‘Cavalleria e Pagliaccci’ sembrava
coperta di una coltre di oblio. Titoli come ‘Fedora’ di Giordano e ‘La Campana
Sommersa’ di Respighi e ‘La Donna Serpente’ di Casella , per non citarne che
alcuni, compaiono di nuovo nei cartelloni e consentono, con la distanza da
polemiche contingenti, non solo di apprezzare le difficoltà musicali e vocali
ma anche di vederne il nesso con la nuova opera americana.
Negli Stati Uniti, questi titoli non
sono mai spariti dalla programmazione ed anzi hanno seminato la scuola
operistica americana della seconda metà del Novecento.
Tra i più interessanti c’è ‘La cena
delle beffe’ tratto da Giordano da un dramma di Sem Benelli (peraltro
fortemente scorciato su richiesta del compositore). Un nuovo allestimento è
stato replicato con successo alla Scala (dove ebbe il proprio battesimo
il 20 dicembre 1924) dal 3 aprile al 7 maggio. Ho colto una delle ultime
repliche, quella del 4 maggio. Tra i lavori di Giordano è forse quello che
ottenne, all’epoca, il maggior successo di pubblico ma anche le più acide
riserve dalla critica (che lo chiamò ‘dramma da arena o da cinematografo ’).
Per Giordano seguirono cinque lunghi anni di silenzio, che precedettero il suo
ultimo lavoro, la delicata novella ‘Il Re’- a contrasto quasi con la grand
guignolesca ‘Cena’. Il colpo finale venne forse negli anni Settanta quando la
monumentale ‘Storia dell’Opera’ della UTET definì ‘La Cene delle Beffe’ (ormai
raramente in scena), ‘l’ignobile fiorentinata pseudo dannunziana che è stata
riprodotta e diffusa con tutti i mezzi, cinematografo compreso’.’La musica è
funzionalmente buona ma appunto per questo partecipa dello squallore della
funzione che adempie’.
‘La Cena delle Beffe’ è stata
riproposta a Foggia nel 1988 (ne esiste un ottimo CD della Bongiovanni Digital,
con l’allora giovanissimo Fabio Armiliato in uno dei tre ruoli principali) e a
Bologna nel 1999. E’ però presente con una certa frequenza in cartelloni tedeschi
e americani. Il nuovo allestimento scaligero è un’occasione per dare un
giudizio più meditato. E’, senza dubbio, un’opera d’intreccio non solo come
altre di Giordano ma come quelle di Franz Schreker o la ‘Ein Florenische
Tragoedie’ di Alexander von Zemlinski , oggi considerati tra i capolavori
assoluti di quel periodo.
Quindi, i personaggi non hanno un
vero e proprio sviluppo psicologico: Ginevra è tutta e solo sesso, Giannetto
vive di vendetta, Neri è l’immagine della violenza, Gabriello il povero imbelle
oggetto della crudele beffa finale. Richiedono, però, grandi voci ed eccelse
capacità attoriali. Non per nulla nei ruoli principali si sono cimentati in
passato Beniamino Gigli, Giacomo Lauri Volpi, Francesco Merli, Titta Ruffo e
simili.
La declamazioni altisonante di gusto
verista non rinnega gli ariosi, le romanze ed anche i duetti sapientemente
distribuiti tra i quattro brevi e compatti atti, densi di azione, di intrighi,
di sensualità quasi sfacciata (altro nesso con Schreker). La vera novità è la
scrittura orchestrale.
Da un lato è arcaicizzante, in linea
con i canoni dell’epoca quando si metteva in scena una vicenda di un ipotetico
Rinascimento. Da un altro, include canzoni e stornelli non solo come Mascagni
ma anche come Korngold. Da un altro ancora un ritmo molto rapido, finalizzato
alla speditezza incalzante dell’azione ma con tratti grotteschi ed ironizzanti
della timbrica che quasi sottolineano il vuoto del pur fortunato dramma in
versi di Sem Benelli. E’ un’orchestrazione che quasi sembra aprire la strada a
percorsi innovativi italiani come quelli di Malipiero e Casella.
Alla Scala la drammaturgia di Mario
Martone sposta l’azione dalla Firenze rinascimentale a New York o Chicago
negli Anni Trenta e i protagonisti diventano capi di cosche mafiose. Con le
scene di Margherita Palli, i costumi di Ursula Patzak e le luci di Pasquale
Mari sfrutta a pieno le potenzialità del palcoscenico. Avrei preferito
un’ambientazione nel Rinascimento quale immaginato nell’Italia degli Anni
Trenta. Del tutta gratuita la strage finale.
Ottima la direzione orchestrale di
Carlo Rizzi che coglie bene il clima dell’epoca in cui ‘La Cena delle Beffe’
venne concecipita. Di grande livello Marco Berti (con il suo generoso registro
di centro) e Simone Alaimo nel ruolo truce di Neri. Kristin Lewis non è
la femme fatele che nel giro di 24 ore si porta a letto due
fratelli ed il loro nemico giurato.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento