Perché la pagella dell’Italia
nella classe Europa sarà sufficiente
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L'articolo
dell'economista Giuseppe Pennisi
Il 18
maggio, la Commissione Europea darà “la pagella” al DEF (Documento di Economia
e Finanza) e all’allegato PNR (Programma Nazionale di Riforma), ossia ai
documenti che tracciano la politica economica dell’Italia nell’anno in corso e
la proiettano nei due successivi. Ci sono stati giorni di timori e tremori.
Prima del
fine settimana, l’Istat ha certificato che nel primo trimestre il Pil è
cresciuto dello 0,3% e la deflazione è a quota -5%. La media UE per la crescita
nel periodo è lo 0,5% trainata dalla Germania che supera le attese (+0,7%)
grazie all’aumento dei consumi interni. Restiamo, dopo la Grecia, il fanalino
di coda dell’UE.
Lo conferma
l’ultima tornata delle stime del “gruppo del consenso” (le stime biennali
pubblicate ogni mese da 20 istituti econometrici di analisi previsionale, tutti
privati nessuno italiano): per l’anno in corso mentre la crescita media dell’UE
sarà, all’ultima conta, dell’1,5%, quella dell’Italia farà fatica ad arrivare
all’1%, principalmente a causa della deflazione strisciante e della conseguente
sfiducia nel ceto dirigente.
Triste il
quadro occupazionale; rispetto ad una media UE di un tasso di disoccupazione
pari al 10% della forza di lavoro, per l’anno nella sua interezza, quello
dell’Italia resterebbe ancorato all’11,4%, nonostante il Jobs Act, gli
incentivi alle assunzioni e la riduzione delle stesse forze di lavoro a ragione
dell’aumento dei “delusi”che hanno cessato di cercare un impiego.
Se
dall’economia reale si passa alla finanza il quadro non migliora. Il debito
pubblico, che dal 2010 avrebbe dovuto iniziare una graduale ma progressiva discesa
verso il 60% del Pil, resta ancorato al 133% del prodotto nazionale e le banche
sono oberate da crediti inesigibili, indicazione che ci vorrà tempo (e non
solo) prima che gli istituti saranno in grado di finanziarie la crescita.
In tempi
normali, ed in una scuola normale, ce ne sarebbe abbastanza per essere
“rimandati” ai settembrini “esami di riparazione” tramite una “procedura
d’infrazione” che ci costringerebbe a restare a casa a studiare mentre i
compagni vanno in vacanza.
Ma, per
nostra fortuna, l’UE è un po’ come una maestrina dalla penna rossa quale quella
del libro “Cuore” di De Amicis, non solo misericordiosa ma anche
timorosa che se un allievo si prende la varicella finisce con il contagiare gli
altri. E’ anche un po’ come quelle università americane, che seguendo i
precetti del Barone von Humboldt, e voltando le spalle alla tradizione
francese ed italiana di grandi auditori, ha optato per classi piccole, con
contatti molto stretti tra studenti e professori, anche fuori dall’aula. In
tali università, non ci sono pagelle ma voti finali basati su attività in
classe (e fuori aula), tesine e test alla fine del corso. Spesso il voto finale
risulta da interazione e negoziazione più che dalla singole prove.
Il 18 maggio
l’Italia sarà promossa, anche se per il rotto della cuffia e la media del 6
sarà accompagnata da rimbrotti sull’alto livello del debito e del fardello che
esso pone per la crescita del Paese e la stabilità finanziaria dell’intera
Unione.
Non è
solamente il Giubileo della Misericordia che induce ad essere particolarmente
“di manica larga” (come si diceva quando io andavo a scuola). Ne usciremo
promossi per due ragioni. Una puramente politica ed una tecnica.
La prima è
ben interpretata dall’editoriale di The Economist del 14 maggio. Il presidente
del Consiglio è stato molto abile nel fare intendere che non ci sono
alternative credibili alla sua leadership: tra una minoranza PD che starnazza
invece di fare politica, un centrodestra frammentato in cui ci si scanna
vicenda, ed un M5S anch’esso travolto da liti intestine, Matteo Renzi ha
convinto l’UE che è il solo interlocutore possibile: Après moi, le déluge!
La seconda
riguarda il debito. La UE si è scottata le dita con la Grecia ed il 24 maggio
dovrà ricorrere ad un nuovo salvataggio. E’ terrorizzata dalla “teoria del
domino”: se al “caso Grecia”, si aggiunge “il caso Italia”, l’intera
costruzione potrebbe andare a ramengo.
Quindi,
aspettiamoci il “minimo sindacale” ed uno scappellotto.
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