martedì 24 maggio 2016

Perché voterò No al referendum costituzionale Giuseppe Pennisi Palazzi in Formiche 24 maggio



Perché voterò No al referendum costituzionale
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Perché voterò No al referendum costituzionale
L'intervento del prof. Giuseppe Pennisi
L’appello degli amici di Mondoperaio, a cui sono stato associato per circa tre decenni, include tra i firmatari l’Avv. Giuliano Pennisi. Alcune organizzazioni e istituzioni mi hanno confuso con l’Avvocato e per questo mi hanno chiesto di presiedere comitati per il “sì”sul referendum costituzionale. Ringrazio Formiche.net per avermi consentito di precisare che non solo non conosco l’Avvocato, ma anche che voterò per il “no”, sebbene nel 2006 ho votato per il “sì”.
Le ragioni sono essenzialmente le seguenti. L’Italia è oggi ben differente da quella di dieci anni fa; lo documentano il rapporto Istat e altre analisi recenti. La sinistra, o quella che si dice tale, si nutre della nostalgia degli anni Cinquanta, e soprattutto Sessanta, quando la crescita economica era robusta e le diseguaglianze sembravano destinate a diminuire. La destra, o almeno una parte, invece, è nostalgica di quella che possiamo chiamare la “coesione culturale”.
C’è bisogno di una società che sappia farsi strada nell’economia internazionale, che abbia un forte senso dell’innovazione, del lavoro e della produttività e che ritrovi la “coesione culturale “, essenziale per riprende a crescere e superare le frammentazione. Il metodo seguito per la riforma della Costituzione è tale da aggravare tali frammentazioni, contribuendo a ostacolare la condivisione di valori, principi e regole. In nessun Paese occidentale le costituzioni vengono riformate ricorrendo a un disegno di legge governativo approvato a colpi di voti di fiducia. Di norma è il Parlamento, un parlamento di “eletti”, e non di “nominati” tramite meccanismi da “legge Acerbo”, a predisporre le modifiche.
Si sarebbero potuti operare risparmi di spesa e riduzione dei tempi legislativi anche maggiori riducendo drasticamente a 250 il numero di deputati affiancati da 100 senatori – tutti eletti. E differenziando chiaramente per materia le funzioni decisionali e di garanzia delle due Camere.
Il testo presentato depotenzia tutti gli organi di garanzia e, unitamente alla legge elettorale chiamata Italicum, crea un premierato non controllato né dal Presidente della Repubblica né da un Parlamento in cui con il 20% del voto popolare, i “nominati” dalla segreteria del partito vincente, possono avere la maggioranza assoluta dei seggi. Un meccanismo da “socialismo reale” prima del crollo del muro di Berlino – che nin vigeva in Spagna e Portogallo neppure ai tempi, rispettivamente, di Franco e Salazar.
Il testo è, inoltre, ambiguo e mal scritto, il che comporterà vertenze presso la Corte Costituzionale, incertezze e, quindi, ulteriori frammentazione e ritardi economici.
Tutto ciò è aggravato dall’aver trasformato il referendum in un plebiscito a favore del Presidente del Consiglio; altro elemento che aggraverà i problemi della “repubblica fratturata”.

Una militante
Gaetano Azzariti
Stefano Rodotà
Alessandro Pace
Antonio Di Pietro
Anna Falcone
Stefano Rodotà
Antonello Falomi e Antonio Di Pietro
Antonello Falomi
Paolo Cirino Pomicino
Alfiero Grandi
Arturo Scotto e Miriam Mafai
Stefano Rodotà
Stefano Rodotà e Franco Russo
Anna Falcone, Stefano Rodotà e Alessandro Pace
Stefano Rodotà e Alessandro Pace
Anna Falcone, Alessandro Pace e Stefano Rodotà
Stefano Rodotà
Antonio Ingroia
Antonio Ingroia
Una militante
Gaetano Azzariti
Stefano Rodotà
Alessandro Pace
Antonio Di Pietro
Anna Falcone
Stefano Rodotà
Antonello Falomi e Antonio Di Pietro

24/05/2016

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