Perché voterò No al referendum
costituzionale
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L'intervento
del prof. Giuseppe Pennisi
L’appello degli amici di Mondoperaio, a cui
sono stato associato per circa tre decenni, include tra i firmatari l’Avv. Giuliano
Pennisi. Alcune organizzazioni e istituzioni mi hanno confuso con
l’Avvocato e per questo mi hanno chiesto di presiedere comitati per il “sì”sul
referendum costituzionale. Ringrazio Formiche.net per
avermi consentito di precisare che non solo non conosco l’Avvocato, ma anche
che voterò per il “no”, sebbene nel 2006 ho votato per il “sì”.
Le ragioni
sono essenzialmente le seguenti. L’Italia è oggi ben differente da quella
di dieci anni fa; lo documentano il rapporto Istat e altre analisi
recenti. La sinistra, o quella che si dice tale, si nutre della nostalgia degli
anni Cinquanta, e soprattutto Sessanta, quando la crescita economica era
robusta e le diseguaglianze sembravano destinate a diminuire. La destra, o
almeno una parte, invece, è nostalgica di quella che possiamo chiamare la
“coesione culturale”.
C’è bisogno
di una società che sappia farsi strada nell’economia internazionale, che abbia
un forte senso dell’innovazione, del lavoro e della produttività e che ritrovi
la “coesione culturale “, essenziale per riprende a crescere e superare le
frammentazione. Il metodo seguito per la riforma della Costituzione è tale da
aggravare tali frammentazioni, contribuendo a ostacolare la condivisione di
valori, principi e regole. In nessun Paese occidentale le costituzioni vengono
riformate ricorrendo a un disegno di legge governativo approvato a colpi di
voti di fiducia. Di norma è il Parlamento, un parlamento di “eletti”, e non di
“nominati” tramite meccanismi da “legge Acerbo”, a predisporre le modifiche.
Si sarebbero
potuti operare risparmi di spesa e riduzione dei tempi legislativi anche
maggiori riducendo drasticamente a 250 il numero di deputati affiancati da 100
senatori – tutti eletti. E differenziando chiaramente per materia le funzioni
decisionali e di garanzia delle due Camere.
Il testo
presentato depotenzia tutti gli organi di garanzia e, unitamente alla legge
elettorale chiamata Italicum, crea un premierato non controllato né dal
Presidente della Repubblica né da un Parlamento in cui con il 20% del voto
popolare, i “nominati” dalla segreteria del partito vincente, possono avere la
maggioranza assoluta dei seggi. Un meccanismo da “socialismo reale” prima del
crollo del muro di Berlino – che nin vigeva in Spagna e Portogallo neppure ai
tempi, rispettivamente, di Franco e Salazar.
Il testo è,
inoltre, ambiguo e mal scritto, il che comporterà vertenze presso la Corte
Costituzionale, incertezze e, quindi, ulteriori frammentazione e ritardi
economici.
Tutto ciò è
aggravato dall’aver trasformato il referendum in un plebiscito a favore del
Presidente del Consiglio; altro elemento che aggraverà i problemi della
“repubblica fratturata”.
24/05/2016
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