FINANZA E POLITICA/ I numeri
che ci mettono spalle al muro
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lunedì 2 maggio 2016
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NEWS Economia e Finanza
La scorsa
settimana si è chiusa con una serie di nuvoloni neri sul Governo. Non
solamente, il Presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, nel giro di 24 ore
passate a Roma, ha avvertito il Governatore della Banca d'Italia e il
Presidente del Consiglio che, dalla sua prospettiva "tecnica", non
ammetterà "sgarri" alla regole dei Trattati (e, quindi, si opporrà a
maggiore Quantitave easing e flessibilità in materia di politica di bilancio),
ma sono giunti dati economici preoccupanti sia dall'estero che dall'interno.
Dall'estero,
le preoccupazioni principali vengono da oltre-Atlantico: nel primo trimestre
dell'anno in corso, la crescita economica è stata soltanto dello 0,5% su base
annua (ossia ai minimi negli ultimi due anni) e deludono sia investimenti che
esportazioni. Gli Stati Uniti sono il volano dell'economia mondiale e di quella
europea, in particolare da quando l'Asia (specialmente la Cina) è in marcato
rallentamento e i maggiori Paesi dell'America Latina sono in recessione.
Dall'interno è giunta una batteria di statistiche poco confortanti. Da un canto
gli indici di fiducia dei consumatori e delle imprese sono in calo. Da un
altro, gli indici dei prezzi al consumo e alla produzione sono in contrazione sia
rispetto al mese precedente che, soprattutto, all'anno scorso, mentre dal lato
dell'occupazione, la situazione non migliora.
Tutto ciò
indica che gli obiettivi di crescita indicati nel Def saranno molto difficili
da raggiungere. Le stesse autorità dell'Unione europea saranno perplesse nel
concedere flessibilità in materia di politica di bilancio se il
rallentamento della già modesta crescita prevista nel Def comporterà (come pare
inevitabile) un maggiore indebitamento netto della pubbliche amministrazioni (sia
in termini assoluti che rispetto al Pil) e un aumento dello stock di debito
pubblico (ancora una volta sia in termini assoluti che rispetto al Pil). E
l'equilibrio strutturale di bilancio apparirà come un miraggio sempre più
lontano.
Difficile
congetturare un miglioramento a breve termine del quadro internazionale su cui
comunque l'Italia non ha la possibilità di incidere. Quindi, è sulle
determinanti interne che occorre agire. In questi giorni, circolano analisi di
istituti indipendenti di analisi economica, come Prometeia e il Ref. Alcuni dei
dati macroeconomici sono stati già pubblicati sulla stampa cartacea e on line.
I più interessanti, però, sono quelli settoriali e microeconomici.
Da essi si
ha una riconferma che, dal 2009, la produttività (il nodo principale
dell'economia italiana) è in netta ripresa nel manifatturiero e nelle imprese
con più di 250 addetti, mentre continua a diminuire nel commercio, nelle
piccole imprese, nelle costruzioni e nei servizi professionali. Questi sono
tutti comparti le cui lobby hanno frenato le aperture al mercato e lo stesso
disegno di legge che (con molta gradualità) le avrebbe introdotte è bloccato in
Parlamento (dove è stato notevolmente stravolto). Quindi, se si vuole
un'accelerazione, occorrono una politica industriale mirata a favorire
l'aumento delle dimensioni di impresa (anche tramite aggregazioni,
concentrazioni, fusioni e acquisizioni) e una politica dei servizi che punti a
una loro selezione quasi darwiniana. Sono scelte difficili principalmente per
un Governo il cui elettorato viene in larga misura da settori considerati, a
torto o a ragione, "protetti". Ma se non si prenderanno si rischia
l'avvitamento in una spirale deflazionistica. Le deflazioni non fanno mai bene
a nessuno. Tanto meno ai Governi che aspirano a una lunga durata al fine di
effettuare le necessarie riforme istituzionali ed economico-strutturali.
Naturalmente
misure di questa natura avrebbero effetti solamente nel medio periodo e,
quindi, potranno difficilmente scansare i nuvoloni neri economici prima del
referendum autunnale sulle riforme costituzionali. C'è qualcosa che può essere
fatto nel breve periodo?
In un'unione
monetaria non abbiamo la possibilità di effettuare una manovra analoga a quella
che trentacinque anni tirò gli Usa del primo Governo Reagan fuori dalla
recessione che aveva caratterizzato la seconda fase del Governo Carter. In
consultazione con le autorità europee, si potrebbe tentare una terapia shock
con una drastica riduzione simultanea e parallela sia dell'imposizione tributaria
e para-tributaria che delle spese pubbliche. Non sono state fatte - che io
sappia - simulazioni degli effetti di una terapia shock (che, nello specifico,
potrebbe prendere varie alternative). Varrebbe, tuttavia, la pena che la
Direzione Generale Analisi Economica del Dipartimento del Tesoro faccia un
esercizio del genere e lo discuta con l'Ufficio Parlamentare di Bilancio. Prima
che sia troppo tardi.
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