Festival.
La luce di
“Iolanta” accende il Maggio Fiorentino
GIUSEPPE
PENNISI
FIRENZE
I olanta, ultima opera di Pëtr Il’ic
Cajkovskij, ha inaugurato il Maggio Musicale Fiorentino, giunto quasi
all’ottantesimo anno. Lo spettacolo si presta a due categorie di riflessioni:
una più vasta sul festival e una sulla scelta dell’opera e sulla sua
esecuzione. Nei giorni dell’apertura del Maggio, la stampa fiorentina
annunciava che il Cipe avrebbe presto stanziato 15 milioni per il completamento
di una sala di concerto per mille posti e di varie “pertinenze” (camerini, sala
prove, torre scenica). Il problema principale del Maggio, e della stagione,
però è quello di ritrovare il pubblico. Ho assistito a Iolanta a una
diurna di sabato: il Teatro Opera di Firenze (1.800 posti) era pieno a metà.
Ricordo ancora il Comunale (2.000 posti) affollatissimo, in diurne analoghe,
con pullman di associazioni di “amici della musica” provenienti non solo dal
resto della toscana ma anche dalle Marche e dall’Emilia- Romagna. Occorre
chiedersi se non sia utile una riflessione sui contenuti e se una torre scenica
per mettere in scena tre opere la settimana (e almeno 220 rappresentazioni
l’anno) sia davvero prioritaria. Il Maggio è nato per la riscoperta di capolavori
obliati nei decenni, se non da secoli, con messe in scena originali e tali da
essere esportate in altri teatri. Iolanta è un gioiello di rara
esecuzione, pur se è stato visto ed ascoltato, a mia memoria, a Roma, a Milano,
a Torino (in due occasioni differenti), alla Sagra Musicale Umbra e a Catania.
L’allestimento è una coproduzione del Metropolitan di New York e del Teatro
Nazionale Weilki di Varsavia già portata a San Pietroburgo. Anche la seconda
opera in programma – Albert Herring di Benjamin Britten – ha avuto una
circuitazione recente in teatri di tradizione del Sud. La terza opera – Lo
Specchio Magico di Fabio Vacchi – è una prima assoluta eseguita, in forma
di concerto, un’unica sera. Il Maggio include anche una vasta serie di concerti
sinfonici e da camera, seguiti, per lo più, da pubblico fiorentino.
Veniamo a
Iolanta. Cajkovskij sarebbe morto l’anno seguente (nel 1893) in condizioni
misteriose. È un atto unico, concepito per uno spettacolo che nella prima parte
avrebbe incluso il balletto Lo Schiaccianoci.
Tanto
l’opera quanto il balletto (e i testi letterari da cui sono tratti) hanno un
fil rouge: il percorso verso la maturità e la consapevolezza di sé stessi.
In Iolanta la parabola è incentrata sulla figlia cieca del Re di
Provenza nel XIV secolo; non è cosciente della sua condizione perché circondata
da persone che fingono di essere cieche. Scopre la sua cecità quando si
innamora di un nobile di Borgogna entrato nel rifugio dove è confinata. Il tema
del percorso dell’oscurità alla luce, un proprio cammino verso la redenzione
termina con un Gloria, ed è intrecciato con quella della “diversità” che
tormentava Cajkovskij. Si distingue dal resto della sua produzione teatrale
perché lavoro intimista: un’orchestrazione molto cromatica viene coniugata con
numeri (arie, duetti, romanzi) di tradizione italiana. Per molti aspetti
prelude al decadentismo e al Pélleas et Melisande di Debussy.
L’allestimento
di Marius Trelinski, coadiuvato dalle scene di Boris Kudlicka è ispirato, per
ammissione del regista e dei suoi collaboratori, alle atmosfere dei film noir
degli anni quaranta in rigoroso bianco e nero. Resta cupo anche nel finale,
nonostante il libretto contenga prima del Gloria una serie di ringraziamenti al
Signore, di cui la luce (e la visione del Creato) sono il primo dono agli
uomini. Ottima la concertazione del giovane Stanislav Kochanovsky, chiamato a
sostituire Michael Jurowski. Di buon livello, ma non eccellente il cast in cui
le voci maschili sono parse migliori di quelle femminili.
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L’opera di
Cajkovskij, raro gioiello di esecuzione, apre la stagione 2016 della
prestigiosa e antica rassegna musicale Riuscito l’allestimento di Trelinski Ma
la vera sfida del teatro è ritrovare il pubblico
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