Banca d’Italia, cosa mi aspetto
di sentire da Ignazio Visco
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L'analisi
dell'economista Giuseppe Pennisi
Oggi
l’Italia che crede di contare (che non coincide necessariamente con quella
che ha voce in capitolo) affollerà Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia.
Alcuni leggeranno con cura le “considerazioni finali” della relazione del
Governatore, molti faranno finta di leggerle ma scorreranno i giornali o
riempiranno la cartelle del sudoku; la grande maggioranza farà lo “struscio”
come il sabato sera a Via Pretoria a Potenza, preoccupati di far vedere che
hanno ricevuto l’invito, ci sono e cercano di notare chi non c’è. Il caso vuole
che numerosi “accademici” marcheranno visita a ragione di un importante
convegno internazionale sul debito pubblico nell’eurozona all’Università di
Roma La Sapienza. Ove qualcuno mi cercasse negli afosi corridoi di Palazzo
Koch, sappia che deserto la cerimonia da alcuni anni e il 31 maggio sono,
invece, a Via Castro Laurenziano a studiare proposte su come ridurre il debito
pubblico. Seguirò il rito di Palazzo Koch (sempre che ne valga la pena) con il
mio iPad.
Nessun Paese
a economia avanzata ha riti analoghi. Tra quelli in via di sviluppo qualcosa
del genere avviene ancora in Angola, dove parte importante dei proventi del
petrolio affluisce automaticamente alla Banca Centrale, i cui bagni hanno
rubinetti dorati. Tuttavia, in seguito alla lettera consegnata dal Fondo
Monetario Internazionale al ministro dell’Economia e Finanze e al
Governatore della Banca d’Italia, al termine delle consuete consultazioni
annuali, mi aspetterei “considerazioni finali” differenti dal solito, con meno
camomilla e una buona dose di caffeina.
Perché? La
lettera del Fmi sostiene, a chiare lettere, che seguendo le politiche indicate
nel Documento di Economia e Finanza (Def), e ipotizzando un buon
contesto internazionale (espansione del commercio internazionale, serenità in
materia di tassi di cambio), il reddito nazionale dell’Italia raggiungerà il
livello del 2007 attorno al 2027. In altri tempi, la stampa avrebbe gridato
allo scandalo con titoli di prima pagina, ma dopo le recenti fusioni e
incorporazioni, i direttori dei quotidiani sembrano narcotizzati.
Allora, non
c’è da auspicarsi che, con uno scatto d’orgoglio, la Banca d’Italia rivendichi
la propria indipendenza e indichi la necessità di politiche di crescita per
evitare un ventennio perduto in cui il Paese sarebbe, dopo la Grecia, l’ultimo
in classifica nell’Unione europea. Sempre che, dopo le ultime scosse ad
Atene, non venga superato dalla stessa Repubblica Ellenica.
Ciò
richiede, innanzitutto, un’azione decisa da parte dell’imposizione tributaria:
il 3 giugno è il tax freedom day, il giorno in cui gli italiani smettono di lavorare
per il leviathan del fisco e cominciano a lavorare e produrre per loro e per la
loro famiglia. Tale tax freedom day dovrebbe essere anticipato almeno di due
settimane, se possibile di un mese, per essere in linea con le economie
industriali che corrono piuttosto che tra gli ultimi di quelle che arrancano.
Si dovrebbe, ovviamente, cominciare dalla riduzione del cuneo fiscale.
Ciò
comporta, naturalmente, una drastica e permanente revisione della spesa per
eliminare quella cattiva (sprechi, ridondanze, corruzione) ed esaltare quella
di alta utilità sociale. Ci sono leggi che lo prescrivono: basta applicarle.
Per facilitare il compito, il Centro Studi Impresa Lavoro ha redatto una
guida operativa (La Buona Spesa: dalle opere pubbliche alla spending review) in
lessico a tutti accessibile. Gli strumenti quindi non mancano.
Ci sono
anche lavori settoriali come Manifattura Italia (prodotto dal ministero dello
Sviluppo Economico) con indicazioni per aumentare le produttività nel
manifatturiero (la vera architrave economica dell’Italia), nonché analisi su
come giungere a un migliore funzionamento del mercato del lavoro, dopo le
delusioni del Jobs Act.
Il materiale
non manca per indicare una strada di crescita. Speriamo che la Banca d’Italia
lo abbia metabolizzato e faccia proposte concrete. Altrimenti, lo struscio
rischierebbe di essere un tranquillante.