Vi spiego vizi, virtù e leve del Piano Juncker
26
- 04 - 2015Giuseppe Pennisi
Prosegue il dibattito avviato
dall'articolo del direttore di Formiche.net, Michele Arnese. Dopo il commento
dell'economista Pasquale Lucio Scandizzo, ecco l'analisi di un altro
economista, Giuseppe Pennisi
L’analisi di Pasquale Lucio Scandizzo presentata
su Formiche.net del 24 aprile non fa
una piega sotto il profilo tecnico, sia nel sottolineare l’ambiguità (e le
diverse interpretazioni) del concetto di leva finanziaria sia nel fornire
esemplificazioni connesse al Piano Juncker.
Temo, però, che al pari di numerosi altri
piani della Commissione Europea – Lamfalussy, Ortoli, Delors – presentati da
autorità europee (spesso all’inizio di mandato) la leva rischi di essere più
mediatica (al fine di entrare sul palcoscenico con un cavatina in do maggiore)
che reale. Non tanto perché la leva economico-finanziaria sia fantasiosa quanto
perché c’è carenza di progetti cantierabili e la Commissione Europea ama
operare in “beata solitudine” anche quando fa coppia con la Bei (con la quale
di norma bisticcia come due amanti in procinto di abbandonarsi).
La “beata solitudine” è anche
caratterizzata da una schizofrenia al limite di avere caratteristiche
patologiche. Il regolamento del Fondo Europeo per Investimenti Strategici, Feis
(quale approvato dal Parlamento Europeo) pare una delizia per burocrati
psicopatici. Una circa cinquantennale esperienza con la Commissione Europea e
la Bei mi induce a pensare che le convenzioni tra il Feis e la Bei, attese per
giugno-luglio, complicheranno ulteriormente le procedure, invece di
semplificarle (come è stata prassi nel passato).
E’ indicativo che la Cdp italiana e le
consorelle Kfw, Cdc, Ico, Bgk hanno dichiarato di essere pronte a intervenire
nel Piano Juncker con 33,5 miliardi contribuendo così all’effetto leva che può
generare 315 miliardi di investimenti, ma pongono alcune condizioni. In una
lettera congiunta firmata anche dalla Bei e inviata a Jean-Claude Juncker e
Jyrki Katainen chiedono che le garanzie del Fesi non ricadano nel divieto di
aiuti di Stato e non siano prezzate a livelli di mercato e che l’approvazione
dei progetti sia più veloce.
Così il presidente della Cdp, Franco
Bassanini, in un’intervista, ha sottolineato, correttamente, il successo
del Piano Juncker si decide ora. “L’effetto anticiclico del Piano si gioca
adesso, se sarà capace di far partire gli investimenti e quindi i cantieri fra
la seconda metà del 2015 e il 2016. Se invece i progetti diventeranno
cantierabili nel 2018 non dico – ha concluso – che il piano Juncker non valga
niente, ma varrà pochissimo”. Come – aggiungo io – è avvenuto per analoghe
operazioni del passato. Avranno mai una risposta adeguata? In passato, la
Commissione ha preferito attenersi all’elogio del silenzio.
In sintesi, a mio avviso, il Piano Juncker
è un grimaldello. Come tutti i grimaldelli, ha virtù: apre opportunità, opzioni
reali, chiuse ermeticamente nelle 28 scatole dei piani d’investimento degli
Stati Ue. Ha, però, anche vizi o rischi: toglie alle scatola la carta argentata
e i fiocchetti di seta e, quindi, mostra quali scatole sono piene e quali
vuote. Ed anche quali potrebbero essere piene se i vincoli del Fiscal
Compact non mettessero a repentaglio fondi di contropartita, a valere
sui conti dei singoli Stati, per attivare la finanza privata.
Per l’Italia, da un lato, il “grimaldello”
minaccia di mostrare che quasi nessuna amministrazione ha ottemperato ai
decreti legislativi 102 e 228 del 2011 di adeguamento alla normativa europea,
con i quali si richiedeva una programmazione pluriennale per progetti esecutivi
corredati da analisi economica e finanziaria. Di conseguenza, in una gara in
cui i progetti non sono allocati per Paese ma scelti da un comitato di
investimenti in base alla loro qualità e cantierabilità, rischiamo di restare a
bocca asciutta. O quasi.
Al tempo stesso, però, il “grimaldello” si
pone sul solco di una maggiore “flessibilità” nella lettura dei trattati
europei e di accordi intergovernativi quali il Fiscal Compact. Già
a dicembre – a causa del periodo natalizio pochi se ne sono accorti – una
comunicazione della Commissione Europea chiariva che per investimenti di
rilevanza europea i contributi diretti dei paesi al Fondo Europeo per gli Investimenti
Strategici (il fulcro del Piano Juncker) non saranno “computati” ai fini della
procedura per deficit eccessivo e che la Commissione terrà conto dei
cofinanziamenti nazionali ai programmi europei nel valutare i progressi verso
il pareggio strutturale, consentendo ‘deviazioni temporanee’, ma solo se
l’economia è in recessione e sia rispettato il tetto massimo del 3% nel
rapporto deficit/Pil.
Una nuova “Comunicazione” della
Commissione ha iniziato il proprio percorso; potrebbe essere emanata prima dell’estate.
È possibile un ulteriore ampliamento dell’interpretazione nell’ambito di un
approccio coordinato di Bei (al centro del sistema) e banche nazionale di
sviluppo e di promozione degli investimenti. In particolare, le “deviazioni”
potrebbero diventare pluriennali (dato che tali sono gli investimenti), il
tetto del 3% ammorbidito e con esso anche la clausola che ora richiede
un’economia in recessione.
È un’opportunità importante per l’Italia,
sempre che si sia in grado di allestire un adeguata platea di progetti.
Altrimenti l’opportunità verrà colta principalmente da Germania ed Austria che
hanno disperato bisogno di infrastrutture (principalmente nel comparto dei
trasporti) e progetti pronti. Come ben sa chi si avventura sulle loro autoe sui
loro treni. O chi legge i lavori della Bei, della Banca d’Italia e del Cnel
sulla dotazione di infrastrutture in Europa.
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