L’opera da tre soldi “Lucia” al manicomio criminale
aprile 2, 2015 Giuseppe Pennisi
Debutto il 31 marzo al Teatro
dell’Opera di Roma Capitale per la nuova produzione di Lucia di Lammermoor di
Gaetano Donizzetti.
Debutto in pompa magna il 31 marzo al Teatro
dell’Opera di Roma Capitale per la nuova produzione di Lucia di Lammermoor di
Gaetano Donizzetti. Lucia è una delle opere più amate dal pubblico romano (e
non solo) e più rappresentate nella capitale (come dimostrato dal lungo elenco
e della belle fotografie nell’elegante e ben concepito programma di sala.
Presidenti il Capo dello Stato, il ministro dell’Economia e delle Finanze, il
sindaco e tutti i notabili della Roma-che-può. A quelle del Teatro dell’Opera
occorre aggiungere una ventina di messe in scena ogni anno da piccole compagnie
private, spesso utilizzando spazi di Chiese anglicane, compagnie di giovani e
orchestrazioni molto ridotte.
Perché una “prima” è diventato un “gala”? La serata
era dedicata a Luca Ronconi che è deceduto il 21 febbraio scorso, proprio
mentre stava per iniziare le prove di questa Lucia, opera a cui si
accostava per la prima volta e per l’allestimento della quale aveva
predisposto un dettagliato progetto. La realizzazione è stata affidata ai suoi
stretti collaboratori di lunga data: Gianni Mantovanini (luci), Gabriele Mayer
(costumi), Margherita Palli (scene), Ugo Tessitore (regia). In questi casi,
però, è sempre difficile capire quanto sia frutto delle idee del Maestro e quanto
dei volenterosi collaboratori. Occorre dire che in precedenza, Ronconi aveva
lavorato poco con l’Opera romana; si contano due lavori contemporanei (Opera di
Luciano Berio nel 1980 e Teorema di Giorgio Battistelli nel 1996), due tragédie
lyriques di inizio Ottocento (Démophon di Luigi Cherubini nel 1985 e Iphigénie
en Tauride di Nicolò Piccini nel 1991) ed un’opera del romanticismo francese
(Faust di Charles Gounod, prodotta però non dal teatro romano ma joint venture
di quelli di Firenze e Bologna), nonché un Giro di Vite di Benjamin Britten
(1997) anch’esso importato da Torino.
L’idea di fondo comunque è ronconiana: Lucia è
psicolabile da quando l’arpa introduce l’azione e lo diventa sempre più sino a
divenire assassina e suicida man mano che la vicenda avanza. Negli ultimi anni
Ronconi si era spostato da spettacoli grandiosi a teatro sempre più
introspettivo. Appartiene anche all’ultimo Ronconi il gusto del teatro povero:
non ci sono né cavalli sul palcoscenico, né laghi scozzesi, né brume, tanto
meno fontane e saloni principeschi (tutti previsti nel libretto).
L’azione si svolge in una sorta di
manicomio criminale, l’appalto della cui costruzione e del cui mobilio sembra
essere stato affidato ad Ikea. Ovviamente, i cavalli, i laghi scozzesi, le
brume, le fontane ed i saloni restano (non solo nel testo) ma anche nella
musica, soprattutto nell’orchestra.
L’idea di trasferire l’azione in un
manicomio non è una novità. Era prassi del regista sovietico Lev Dodin: ricordo
una Dama di Picche di Peter Illic Tchaikosky nel 1999 che si svolgeva
interamente in una casa di pazzi. Più di recente, a Pesaro nel 2015, Damiano
Michieletto porta i cavalieri medioevali di Gioacchino Rossini in un
fetido manicomio di inizio Ottocento. Dodin ambientava numerose opere in
manicomi criminali; era una protesta contro l’Unione Sovietica ed il suo
regime. Continuò a farlo dopo la caduta del muro di Berlino. Per Michieletto si
trattava principalmente di épater les bourgois.
Difficile capire cosa intendesse
Ronconi. Anche in quanto il dramma della crescente follia può essere mostrato
in tempi moderni, a manicomi chiuso. Per avere una chiave, sarebbe però stata
necessaria una recitazione più spigliata quella vista il 31 marzo.
Foto: Teatro dell’Opera di Roma
Capitale
Leggi di Più: L’opera "Lucia" al manicomio criminale | Tempi.it
Follow us: @Tempi_it on Twitter | tempi.it on Facebook
Nessun commento:
Posta un commento