FINANZA/ Il "finto"
Def che serve a Renzi per vincere le elezioni
Pubblicazione:
lunedì 13 aprile 2015
Pier Carlo Padoan (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
In un
contesto in cui si stabilizzano 100.000 “precari” della scuola, e per
incoraggiare la trasformazione di contratti un tempo chiamati “atipici” in
contratti a tutele crescenti si aggravano i contributi sulle imprese
(penalizzandone la competitività), non deve scandalizzare che si scovi qualche
nuovo “precario”.
Il Governo
ha puntato sulla “precarizzazione” del binomio Def-Pnr la cui vita durerà, più
o meno, sino alla elezioni regionali per poi essere rifatto da cima a fondo al
fine di produrre una documentazione che serva il vero obiettivo delle norme che
lo hanno istituito: predisporre, all’inizio dell’autunno, il disegno di legge
di stabilità.
Non dobbiamo
dimenticare che il Def è nipote di quei documenti entrati in vigore con
caratteristiche e tempistica differente in quasi tutti gli Stati dell’Unione
europea negli anni Settanta. Lo scopo era ed è di fondare la preparazione dei
bilanci di previsione degli Stati su una discussione parlamentare (e
nell’opinione pubblica) sugli obiettivi e strumenti di finanza pubblica. La
crisi internazionale dell’inizio degli anni Settanta, i cambi fluttuanti,
l’aumento dei corsi delle materie prime fecero correttamente ritenere che i
bilanci di previsione degli Stati sarebbero dovuti essere pluriennale e
dovessero essere basati su una politica economica condivisa o almeno discussa
in Parlamento e nell’opinione pubblica. Poco più di cinque anni fa venne deciso
a livello europeo di coordinare tempistica e presentazione dei contenuti al
fine di facilitare la convergenza delle politiche economiche degli Stati
dell’Unione europea verso i comuni obiettivi sanciti nel Fiscal Compact.
I Def-Pnr di
numerosi Stati Ue presentati in queste settimane sono consultabili on line.
Basta sfogliare la stampa straniera per constatare che nessuno è stato
accompagnato dallo psicodramma che ha caratterizzato gli ultimi giorni della
preparazione di quello italiano. Uno psicodramma voluto (con la buffa trovata
finale del “tesoretto”) per tenera desta l’attenzione in vista delle imminenti
elezioni regionali. Uno psicodramma che però costa caro - come pare abbiano
detto alcuni Ministri al Presidente del Consiglio - perché aumenta l’incertezza
di gran parte degli italiani.
Ma andiamo
ai punti essenziali (tralasciando il “tesoretto” ampiamente analizzato su
queste pagine). In primo luogo, il punto chiave del Def riguarda le previsioni
degli andamenti dell’economia reale. Si legge che il Presidente del Consiglio
abbia scritto di proprio pugno 0,7% per la crescita del Pil nel 2015, già quasi
giunto al quinto mese dell’anno. I “gufi” dicono che si sarebbe infischiato
delle elaborazioni (meno ottimistiche) del ministero dell’Economia e delle
Finanza e dell’Istat.
In effetti,
basta studiare le previsioni pubblicate l’8 aprile del così detto “gruppo del
consenso” , i 20 maggiori istituti internazionali di econometria (tuti privati,
nessuno italiano): la crescita del Pil viene data in media allo 0,5% (tanto da
mangiarsi ampiamente il “tesoretto” elettorale), ma lo scarto è molto ampio e
non è improbabile che, se si continua innervosendo consumatori, lavoratori e
imprese, si realizzi un pallido 0,3%. A questo punto, scatterebbe la “clausola
di salvaguardia” con un aumento dell’Iva che ci ricondurrebbe in recessione. I
tecnici di palazzo Chigi e di via Venti Settembre lo sanno. Quindi, stanno già
lavorando a un nuovo Def (denominato “aggiornamento”) dopo elezioni regionali
il cui esito (quale esso sia) verrà presentato come la “sconfitta dei gufi”.
La
situazione potrebbe comunque aggravarsi in autunno se, come probabile, la
Federal Reserve americana aumenterà i tassi d’interesse con ripercussioni che
non potranno non farsi sentire sul continente vecchio.
Che il Def
abbia la precaria e breve durata di una campagna elettorale lo mostra quel Pnr
di cui nessuno parla e che dovrebbe contenere gli argomenti forti dell’Itala
nel discutere e contrattare con l’Ue. Mentre i Pnr “degli altri” hanno un
capitolo sulla valutazione dei risultati delle riforme attuate o messe in
cantiere negli ultimi cinque anni (o giù di lì), nel Pnr dell’Italia non c’è
nulla di analogo, ma si presenta un elenco rinfrescato di quanto proposto circa
un anno fa.
Quindi,
shakespearianamente, Molto rumore per nulla.
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