CRISI GRECIA/ I rischi (e i costi) per l’Italia
Pubblicazione: lunedì 27 aprile 2015
Tsipras e Juncker (Infophoto)
Approfondisci
NEWS Economia e Finanza
Dopo un “tormentone” (per usare il
gergo giornalistico) di sei anni circa, la saga greca è arrivata al suo ultimo
atto. Ove non all’epilogo. Lo ha mostrato a chiare note la riunione
dell’Eurogruppo a Riga in cui il presidente del Consiglio e il ministro
dell’Economia e delle Finanze della Repubblica ellenica sono stati chiamati
“dilettanti allo sbaraglio”. Quindi, incomunicabilità piena e totale con il
resto del gruppo. Nonostante i canali Rai trasmettano immagini (credo di una
precedente riunione) in cui il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi
ostenta - in barba non solo all’etichetta internazionale ma semplicemente al
buon gusto - baci e abbracci con la sua controparte Alexis Tsipras.
Il problema non è se il Governo di
Atene sia composto da “dilettanti” o meno, ma che le sue promesse non valgono
quelle di un marinaio a una ragazza di facili costumi incontrata in un porto in
cui la nave ha attraccato per qualche giorno. Inoltre, non valgono neanche per
il partito politico greco che li ha eletti, Syriza, sempre più scontento di chi
li rappresenta.
Ultima chicca: i pagamenti dei
debiti all’erario sono stati dilazionati in 80 o 100 rate pure per gli
oligarchi che devono, ciascuno, al fisco più di 4 milioni di tasse e imposte
arretrate, per un totale di 60 miliardi - una misura non certo gradita alle
istituzioni internazionali e ai ceti a basso reddito che hanno votato Tsipras.
Ancor più, sul tavolo della riunione di Riga è stato letteralmente sbattuto uno
studio in cui si dimostra, su dati dell’Agenzia delle entrate greca, che dopo
l’aumento dei tributi previsto dal “salvataggio” 2010 il gettito fiscale è
diminuito; è cresciuta l’evasione dato che piccole e medie imprese, quelle
individuali e i grandi conglomerati hanno dichiarato un crollo dei redditi, in
parte determinato dal cattivo andamento dell’economia, ma in parte causato
dalla volontà di sfuggire il fisco, a fronte di un’amministrazione finanziaria
notoriamente porosa. L’accordo raggiunto a Riga sugli “accordi fiscali” tra
grandi imprese e grandi contribuenti, da un lato, e Governo, dall’altro, è come
un’aspirina in una situazione in cui si dovrebbe fare ricorso al chirurgo.
In effetti, un sociologo nato e
formato negli Usa, ma che ha avuto un’importante carriera politica nella
Repubblica ellenica, George Papandreou, sostiene che nel Paese politica ed
economia sono dominati da pochi “poteri forti” che controllano da tempo
l’amministrazione finanziaria e ora incidono anche sulla leadership di Syriza,
modificando a loro favore articoli e commi della legislazione, prima che i
provvedimenti giungano a un Parlamento la cui maggioranza è poco esperta. La
“base” di Syriza lo ha compreso e, già perplessa per i gusti poco sobri di
Varoufakis, si chiede, nelle assemblee di sezione, se non sia venuto il momento
di cambiare leadership.
Quindi, le “istituzioni” (Fondo
monetario internazionale, Commissione Europea, Banca centrale europea) e i
partner dell’Eurogruppo stanno negoziando con interlocutori che potrebbero
presto uscire di scena e tornare a palcoscenici a loro più consoni. In questo
contesto, vengono elaborati piani B, C e D in caso di defaultrispetto alle
imminenti scadenze del rimborso di debiti greci al Fmi. Si parla di variazioni
dell’assignat (la moneta fiduciaria emessa durante la Rivoluzione
francese); in effetti, statali, pensionati e fornitori delle pubbliche
amministrazioni verrebbero pagati con cambiali (in euro) che sconterebbero
presso banche greche, mentre l’euro nudo e crudo resterebbe la valuta per le
transazioni internazionali e per le riserve. Preoccupa il fatto che una di
queste proposte sia stata formulata da un economista italiano che si dice
contiguo a Palazzo Chigi (spiritualmente perché abita a Milano).
In questo bailamme, la speculazione
gode. È un gioco comprare sul mercato secondario titoli pubblici greci in saldo
(le agenzie di rating li considerano spazzatura) con rendimenti tra il 20% e il
30% l’anno. Mal che vada se la saga continua altri mesi si incassa qualche
buona cedola. Nella migliore delle ipotesi, ossia se i contribuenti europei
aprono le borse per un ulteriore salvataggio, c’è in prospettiva anche un forte
guadagno in conto capitale.
Occorre riconoscere che non è questo
il contesto migliore per un programma di riassetto come quello che deve
affrontare il Governo italiano. Nell’incertezza dei mercati, chi ha un debito
pubblico pari a oltre il 130% del Pil e banche colme di sofferenze (tanto da
fare ipotizzare una bad bank) dovrebbe rapidamente sostituire i
baci e gli abbracci con pedate nel sedere e insistere perché la commedia
finisca. La Grecia ha dato prova che aveva ragione l’Eurostat quando documentò
a Prodi (allora Presidente della Commissione europea) che il Paese non poteva
fare parte dell’area dell’euro e, per tutta risposta, ebbe la dirigenza venne
dimissionata (salvo poi a ricevere scuse e indennizzi monetari dalla Corte di
giustizia europea). La farsa è solo apparente, il mondo (si legga la stampa
americana e asiatica) sta assistendo a una tragicommedia che rischia di mettere
a repentaglio l’intera costruzione europea.
L’Eurogruppo ponga a se stesso una
scadenza: se entro dieci giorni non si trova una “insolvenza programmata” per
fare uscire la Grecia dell’unione monetaria in modo poco doloroso, la Bce
faccia il suo dovere, ossia stacchi la spina alle inguaiatissime banche greche
(tanto finanziano gli oligarchi, non la povera gente) e faccia calare il sipario.
© Riproduzione Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento