AIDA/ Il nuovo corso dell'Opera di Roma fa bene anche alla musica
Pubblicazione: martedì 28 aprile 2015
Foto di Yasuko Kageyama
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Dopo pochi mesi dell’adesione alla
Legge Bray, il Teatro dell’Opera di Roma ha adottato un rigoroso piano di
risanamento di cui si vedono i primi benefici. E’ stato annullalo
l’indebitamento verso artisti e fornitori, istituti previdenziali ed erario.
Grazie ad una seria politica di controllo dei costi di gestione (che ha
comportato riduzioni di indennità e pensionamenti ma non licenziamenti) e
soprattutto all’aumento della produzione (ben del 30% circa), il bilancio per
l’esercizio 2014 si è chiuso in pareggio. Soprattutto, il pubblico ha dato una
prova concreta del gradimento del “nuovo corso” del teatro: dall’inizio della
messa in vendita per la stagione in corso lo scorso ottobre alla fine del primo
trimestre 2015, la spesa per abbonamenti e biglietti (4.8 milioni di euro)
supera di 1.8 milioni (60%) di euro quella registrata nello stesso
periodo dell’anno precedente. lIn prospettiva, il Teatro sta andando verso una
forma di semi-repertorio con riprese, oltre che nuovi allestimenti, di lirica
di tradizione, aprendosi, però, sempre più ad altri generi che attirano nuovo
pubblico, specialmente le giovani generazioni.
La nuova produzione di Aida
in scena sino al 3 maggio si pone in questa prospettiva. Il capolavoro verdiano
sarebbe dovuto essere l’opera della stagione, diretta da Riccardo Muti (che nel
frattempo ha rinunciato alle sue funzione operative al Teatro dell’Opera) e con
un nuovo (e, pare, costoso, allestimento. Viene invece presentato per una serie
di rappresentazioni ‘fuori abbonamento’, a cui il pubblico sta dando un’ottima
risposta al botteghino. Viene riproposto un adattamento ad un teatro grande, ma
chiuso, un allestimento pensata inizialmente per la stagione all’aperto alle
Terme di Caracalla (dove è andato in scena nel 2011).
Micha van Hoecke firma la regia e la
coreografia. Per la prima volta sul podio del Costanzi dirige Jader Bignamini.
In scena Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma. “La
mia Aida è essenziale e intimista, una favola noir in uno spazio di sogno e
mistero – commenta van Hoecke – dove l’unica cosa che conta, più
forte della guerra e della morte, è l’amore, quello di Amneris e Aida per
Radames e quello di quest’ultimo per Aida”. Le scene e i costumi,
volutamente essenziali, sono di Carlo Savi; le luci create per dare il senso
della spiritualità e del mistero, sono di Vinicio Cheli. Il maestro del Coro è
Roberto Gabbiani.
Ho commentato altrove drammaturgia
ed allestimento scenico, fatto di pochi elementi scenici e di attenti giochi di
luce, come quelli di Adolphe Appia per le grandi opere wagneriane e più recente
di John Dexter per il Metropolitan di New York, per non parlare della
bellissima Aida in miniatura concepita da Franco Zeffirelli per il
minuscolo teatro di Busseto nel 2001 , nel quadro delle celebrazioni per il
centenario della nascita del compositore e circuitato, con successo in una
ventina di piccoli teatri in Italia ed all’estero. Ho anche spiegato perché una
drammaturgia ‘intimista’ sia , a mio avviso, più vicina alle intenzioni di
Verdi di quanto non lo sia una ispirata ai colossal di Cinecittà.
n questa nota, mi soffermo solo
sulla parte musicale quale gustata nella recita del 26 aprile. Aida viene
considerata da molti musicologi come l’ultimo melodramma ottocentesco. Altri
ritengono che sia, invece, il primo musikdrama anche se Verdi
ascoltò, per la prima Wagner (Lohengrin) il primo novembre 1871 a Bologna
– dopo avere completato la partitura di Aida. C’è del vero
nelle due ‘scuole’. Da un lato, Aida presenta ancora
arie e numeri chiusi (ma la cavatina con cabaletta è decisamente tramontata).
Da un altro ancora alcuni numeri sono così vasti da prendere un’intera scena.
Alcuni (ad esempio il duetto Aida-Amneris nel secondo atto) sono costruiti su
un declamato quasi wagneriano. Il flusso orchestrale è continuo e, dettaglio
non trascurabile, il tenore canta con il registro di centro, come in Wagner ed anticipando
la ‘giovane scuola’ (Puccini, Boito, Leoncavallo ). Dipende molto dal maestro
concertatore e direttore d’orchestra dove orientare il pendolo. Jader
Bignamini, considerato , non a torto, la migliore bacchetta verdiana
della giovane generazione, opta per ilmusikdrama; lo si avverte sin
dall’introduzione per archi e lo si può toccare con mano nel duetto
Aida-Amneris.
In linea con le scene di Carlo Savi,
di Vinicio Cheli e soprattutto la drammaturgia di Micha van Hoecke, la sua
lettura rende questa Aida un ‘notturno’ in quattro parti in
cui , per sottolineare il contrasto, il secondo quadro del secondo atto (la
scena del trionfo) diventa solare tanto in buca quanto sul palcoscenico.
Tra le voce, tutte di livello,
spicca Anita Rachvelishvili, un’Amneris schizofrenica e passionale che sa
raggiungere anche un registro da contralto. Csilla Boross e Fabio Sartori sono
i due sfortunati amanti; lei ha avuto qualche incertezza e lui del ruolo ha la
voce ma non le physique . Ottimo l’Amonasro di Giovanni Meoni.
Roberto Tagliavini (Ramfis) apprezzato dal pubblico capitolino, la scorsa
stagione, nel ruolo di Maometto II, Luca Dall’Amico (Il Re), Antonello Ceron
(Un Messaggero), e Simge Büyükedes (Una Sacerdotessa) completano il cast vocale
. Efficace, con il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, la prima
ballerina Alessandra Amato.
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