OPERA/ Lucia di Lammermoor vista da Ronconi. Alla presenza del capo dello
Stato
Pubblicazione: giovedì 2 aprile 2015
Un momento dell'Atto I, Jessica Pratt (Lucia), foto di Yasuko Kageyama
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Grande attesa per la prima, alla
presenza del Capo dello Stato in un teatro straboccante in ogni ordine di
posti, della nuova produzione di Lucia di Lammermoor di Gaetano
Donizzetti,. E’ opera molto rappresentata a Roma ma questa edizione nasce da un
progetto di Luca Ronconi, deceduto dopo lunga malattia proprio mentre stava per
iniziare le prove. E’stato realizzato dai suoi collaboratori storici: Gianni
Mantovanini (luci), Gabriele Mayer (costumi), Margherita Palli (scene), Ugo
Tessitore (regia). Ma è difficile dire quanto dell’assunto originale sia stato
effettivamente attuato. Pure in quanto Ronconi non aveva mai affrontato questa
opera in precedenza.
Indubbiamente, il concetto di base è
chiaramente dell’ultimo Ronconi, sempre più introspettivo; Lucia è malata di
mente sin da quando si alza il sipario e le vicende familiari e coniugali la
portano alla pazzia suicida ed omicida. E’ anche ronconiana l’idea di
trasferire l’azione dalle brume, dai castelli, dai laghi scozzesi di inizio
ottocento ad un maniconomio-prigione di fine ottocento. E’ pure ronconiano il
rigoroso bianco e nero di scene e costumi (in nero gli uomini, in bianco le
donne, tranne Lucia nel primo atto a ragione del lutto per la morte della
madre). Occorre dire che non tutte queste idee sono nuove: ricordano molto le
messe in scena, principalmente a Firenze, di Lev Dodin, del grande repertorio
russo negli Anni Ottanta, ma Dodin aveva una non troppo sotto intesa intenzione
di mostrare la Russia come una prigione-manicomio. Ronconi , invece, accentua
la patologia di Lucia Tuttavia, l’attenzione alla recitazione pare carente, e
dovrà essere migliorata, nelle repliche e nelle riprese (se la produzione, come
pare si intenda, entra in repertorio).
Tratta da uno dei romanzi
storico-romantici dello scozzese Walter Scott, di cui La Pléiade ha appena
pubblicato la collezione integrale (anche se in Italia è noto solo per le
edizioni hollywoodiane e televisive di “Ivanohe”, messa in musica, tra l’altro,
in un ‘centone’ di Gioacchino Rossini rappresentato alcuni anni fa al festival
di Martina Franca), Lucia rappresenta un anello di transizione essenziale dal
melodramma di inizio Ottocento a quello verdiano. Da un lato, l’orchestra evoca
l’atmosfera delle brume scozzesi in un notturno quasi infinito (al pari di
quanto avviene nel capolavoro rossiniano ispirato ad un altro lavoro di Scott, La
donna del lago).
Da un altro, le parti vocali
richiedono grande maestria: vennero scritte per Gilbert-Louis Duprez, il tenore
che ha inventato il “do di petto”, Fanny Persiano, un soprano, al tempo stesso,
dalla vocalità leggera e dalla coloratura raffinatissima, e Domenico Coselli,
baritono agilissimo. ‘Lucia’ è un apologo di potere bruto che vede
protagonisti uomini guerrieri coinvolti in continue violenze e questo stesso
mondo di violenza maschile opprime, schiaccia l’innamorata Lucia, appena orfana
di madre, salvata dall’amato Edgardo da un letale violento toro. L’apologo del
potere è ben presente nella drammaturgia ronconiana del lavoro, ma l’atmosfera
delle brume scozzesi in un notturno quasi infinito resta in orchestra
Molto buona, la parte musicale che
include la riapertura di alcuni tagli di tradizione(che hanno consentito di far
sì che il prete Raimondo sia un personaggio a tutto tondo) e l’utilizzazione
della Glasharmonika (armonica a bicchieri) come prescritto da Donizzetti.
Nonostante qualche sbavatura nel primo tempo, Roberto Abbado tiene bene
l’equilibrio tra buca e palcoscenico. Di grandissimo livello i due protagonisti,
Jessica Pratt e Stefano Secco, tengono ben testa agli interpreti originali del
debutto parigino dell’opera. Grande cura anche nella scelti di ruoli
considerati ingiustamente minori ed affidati a Carlo Cigni, Simge Büyükedes e
Andrea Giovannini . Enorme successo alla ‘prima’ dedicata alla memoria di
Ronconi.
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