Consigli non richiesti a Yoram Gutgeld
06 - 04 - 2015Giuseppe Pennisi
Il Consiglio dei Ministri del 7
aprile ha all’ordine del giorno l’esame e l’approvazione del Documento di
Economia e Finanze (Def) con cui delineare l’azione di governo nel breve e
medio termine. Il Def dovrebbe ricevere i pareri delle Commissioni Parlamentari
del simulacro del CNEL (esistente ma reso nell’impossibilità di funzionare da
una norma che fa a pugni con la Costituzione) e della Commissione Europea.
Sulla base del Documento che, ci si augura, verrà approvato domani e, con le
osservazioni che il Governo vorrà recepire, costituire la base della prossima
Legge di Stabilità.
Naturalmente il Def all’ordine del
giorno presuppone tanti altri argomenti: dal patto di stabilità interno, alle
tax expenditures per imprese e famiglie, alla previdenza e all’assistenza, alle
missioni militare di pace all’estero, e via discorrendo.
C’è, però, un numero secco che
indica la rotta: il totale di entrate fiscali e parafiscali e di spese delle
pubbliche amministrazioni ha raggiunto il 108,2% del Pil; una cifra che non si
toccava da quando l’Italia era nella seconda Guerra Mondiale, una cifra simile
a quella dei momenti più oscuri dei Paesi a socialismo reale. Non solamente la
riduzione della oppressione fiscale, promessa dal Governo lo scorso 30
settembre, non c’è stata ma con un peso così terrificante si resta nella
deflazione, si aggrava la disoccupazione (quali che siano i dati di breve
periodo sulla conversione dei contratti da “a termine” a “a tempo indeterminato
agevolato”), il peso del debito pubblico è destinato a crescere (come ha
scritto senza mezzi termini il Wall Street Journal). Economisti di rango
scrivono che, date le rigidità, l’oppressione fiscale può essere appena dell’1%
del Pil.
Credo si possa fare di più. Renzi
deve tenere in mente la frase di Piero Bargellini, con il fango sino alle
ginocchia, agli uffizi al tempo dell’alluvione di Firenze nel 1966: Non è
tempo di piagnistei! Corra in televisione e la ripeta, senza
riferimenti a gufi o a cornacchie. Gli italiani lo capiranno. Così come i
fiorentini compresero Bargellini,
Se non è il tempo di piagnistei, è
quello di una “revisione della spesa” seria e con un metodo forte alla spella.
Un lavoro che non produca le 800 pagine eterogenee e prive di metodo di
Cottarellli & co.
Ho lavorato circa cinquant’anni su questi
tempi da quando in Banca Mondiale, feci parte del team McKinsey-Banca
Mondiale nel 1970-71 per riorganizzare la Banca medesima ad esperienze più
recenti per la riorganizzazione della Banca Africana di Sviluppo. Su
un’altra testata, il Sussidiario.net, ho ricordato come il perno
metodologico sia l’analisi dei costi e dei benefici finanziari ai singoli
soggetti (individui, imprese, enti) ed economici alla collettività. Ho anche
sottolineato che in Italia (dove ci sono stati precursori all’inizio del Novecento,
in età giolittiana), tale metodo è stato introdotto nel 1982 in via
sperimentale per una piccola parte dell’investimento pubblico. Nel 1985 e nel
1991 l’allora ministero del Bilancio ha pubblicato, con il Poligrafico dello
Stato, manuali, successivamente aggiornati dall’Uval (l’unità di valutazione
che ha avuto differenti collocazioni istituzionali). Nel 2006, la Scuola
Superiore della Pubblica amministrazione ha pubblicato un’aggiornata guida
operativa, Nel 2012, il Cnel ha approvato un documento di osservazioni e
proposte per aggiornare i parametri di valutazione a una fase di crescita lenta
ove non di stagnazione. In parallelo con questa letteratura “ufficiale” c’è
stato un rigoglio di testi privati anche a ragione delle attività
dell’Associazione italiana di valutazione e della rivista e collana di libri
pubblicati dal sodalizio. Dal 1999 una legge ricalca la normativa americana che
dal 1980 prescrive che ogni misura regolamentare sia accompagnata da un’analisi
di costi benefici finanziari ed economici.
Esiste quindi, un metodo forte e
diffuso: sino al 2008, quando ha la Scuola di Pubblica amministrazione (Snpa)
ha deciso di non proseguire su questa linea. La Sna ha tenuto circa 300 corsi
di formazione per funzionari e dirigenti a carattere sia polivalente che per
settori specifici (beni culturali, istruzione, agricoltura, trasporti e via
discorrendo) per poi abbandonarli verso il 2006. Dunque, c’è anche il
personale formato, almeno nella metodica di base.
In via sperimentale, poi, il
ministero dell’Economia e delle Finanze, la Fondazione Ugo Bordini e altri
hanno affrontato metodiche più avanzate.
Tutto questo capitale è stato
ignorato da Carlo Cottarelli e dai suoi collaboratori. Sarebbe stato
sufficiente, in primo luogo, individuare quali amministrazioni adottavano il
metodo (richiesto per legge) e quali non lo applicavano e, in secondo, fare un
esame campionario con il supporto di un piccolo gruppo di specialisti (Uval,
personale della Ragioneria Generale dello Stato) per individuare in poche mesi
quali spese ridurre. Inoltre, il Ministro della Funzione Pubblica dovrebbe
chiedere alla SNA (se continuerà ad esistere nel ‘format’ attuale) di
riprendere (in grande stile le attività di formazione in questa materia e di
estenderle dalle materia economiche e finanziaria e quelle manageriali, aprendo
i propri corsi il più possibile ad ingegneri, i meglio attrezzati in interagire
in aula con giuristi ed economisti (sempre che si trovino docenti adatti).
Questi non sono che primi passi. Ma
con la gamba giusta. Altrimenti meglio curare vino di qualità e proporsi di
diventare Chevalier de Tâte Vin con apposita cerimonia di incoronazione
al Clos Veugeot.
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